Margarete è una delle prime donne architetto europee, una “madre” dell’architettura moderna, il cui lavoro è finalizzato in particolare al miglioramento della condizione delle donne.

Nasce nell’eclettica Vienna di fine Ottocento da una famiglia della media borghesia. Terminati gli studi di base e dopo lezioni private di disegno e un breve corso di grafica, decide, contro il parere della famiglia, di volere diventare un architetto.

«…Vidi che ogni millimetro disegnato aveva un significato e si realizzava qualcosa che avrebbe influenzato l’ambiente quotidiano dell’uomo…» è l’impressione determinante riportata dalla giovane dopo avere assistito ad una lezione di architettura presso la Kunstgewerbeschule. Si tratta della più rinomata scuola di arti applicate di Vienna, alla quale Margarete si iscrive nel 1916; vi insegnano artisti e architetti famosi e di tendenze innovatrici. Per una studentessa austriaca che vuole formarsi come architetto rappresenta comunque l’unica possibilità, poiché fino allora le ragazze non sono ammesse né alle accademie, né ai politecnici.

Il curriculum estremamente brillante le consente di ultimare l’iter formativo già nel 1918. È la seconda donna austriaca a diplomarsi in architettura, ma è la prima che di fatto svolgerà attività professionale, e durante tutta la sua lunghissima esistenza.

Fin dagli esordi, consapevole del grave disagio anche abitativo delle classi lavoratrici, acuito dalla crisi economica e politica del paese alla fine della prima guerra mondiale, manifesta il desiderio di occuparsi solo di edilizia sociale. Già da studentessa aveva effettuato personalmente sopralluoghi nelle aree più periferiche della città e nel 1917 aveva vinto il concorso per il progetto di una “Cucina abitabile nell’estrema periferia”. Da questo ambiente domestico prende il via il suo contributo al rinnovamento della tipologia architettonica dell’abitazione, del quartiere, della città. Applicando i criteri di ottimizzazione del lavoro in fabbrica (taylorismo), analizza l’attività delle casalinghe all’interno delle grandi cucine tradizionali, rilevandone le disfunzioni e quindi lo spreco di tempo e di energie.

Progetta dall’interno verso l’esterno, e tenta di dare risposta alle esigenze pregresse e alle nuove aspettative delle donne che sempre più numerose si affacciano al mondo del lavoro extradomestico.

«Come possiamo, costruendo correttamente, risparmiare lavoro alle donne?»

Con questo consapevole obiettivo etico la giovane architetta lavora per le cooperative d’iniziativa pubblica che realizzano case-capanna per la prima emergenza, case a schiera per i coloni inurbati, case pluripiano per gli operai. È di questo periodo la concezione pionieristica di un monoblocco polifunzionale cucina–lavanderia, dalle eccezionali caratteristiche ergonomiche.

Partecipa anche alla progettazione di un grande Hof operaio, condividendo con il già famoso Adolf Loos il disegno di un isolato.

L’interesse e il consenso suscitati dai progetti di questo primo periodo viennese ben presto pongono la giovane di fronte ad una nuova scelta di vita. Non ancora trentenne, nel 1926, si trasferisce a Francoforte, accettando l’invito dell’amministrazione pubblica a entrare nell’organico dell’ufficio tecnico, diretto dall’architetto e urbanista Ernst May.

L’ Hochbauamt della città sul Meno è, come il Bauhaus di Weimar e Dessau, uno dei laboratori del nuovo rivoluzionario corso dell’architettura, che risponde alle esigenze poste dall’industrializzazione e conseguente inurbamento con criteri funzionalisti e razionalisti. La minimizzazione delle superfici e dei volumi (existenz minimum), è la soluzione individuata per ovviare alle carenze abitative in tempi rapidi e con costi sostenibili. Ciò comporta una concezione dell’abitare del tutto nuova (Machine à Habiter) sia per gli utenti sia per i progettisti.

Lavorando a questo Margarete porta a compimento il progetto della nuova cucina, razionale e standardizzata. Tra il ‘26 e il ’28 ne presenta i prototipi alle fiere di Francoforte, Essen e Monaco.

Costruita secondo principi ergonomici consente lo svolgimento delle attività domestiche nella sequenza più corretta, sì da ridurre lo spreco di tempo e di spazio e risparmiare alle donne inutili fatiche. Le soluzioni architettoniche ideate allora fanno tuttora parte della nostra concezione quotidiana, come ad esempio il piano di lavoro continuo e complanare e i pensili in linea alla giusta altezza. Nella planimetria dell’alloggio la cucina, ridotta alle dimensioni di laboratorio domestico, comunica attraverso una porta scorrevole con una piccola zona tinello-pranzo, dove si riunisce la famiglia. Di questo modello, noto come cucina di Francoforte, si realizzano diecimila esemplari, preinstallati nelle abitazioni minime dei nuovi quartieri.

Come unica esponente femminile dell’ufficio all’edilizia, le viene richiesto dalle donne impegnate in politica e dalle associazioni femminili di occuparsi anche della questione molto pressante dell’abitazione per le lavoratrici sole.

Si tratta di una nuova categoria di soggetti urbani - vedove con figli, giovani appena trasferite in città, anziane - , che incontra difficoltà economiche nell’accesso all’alloggio e nello stesso tempo esprime esigenze particolari. Puntando realisticamente alla fattibilità economica del progetto, l’architetta individua diversi tipi di piccoli alloggi in funzione delle capacità economiche dei soggetti. Calibrando lo svolgimento delle funzioni tra privatezza, autonomia e socializzazione, riesce a ottimizzare l’uso degli spazi, senza trascurare quegli aspetti estetici e psicologici che rendono gradevole e rigenerante il soggiornare nella propria casa. Lavanderie centralizzate, scuole per l’apprendimento della nuova economia domestica, asili e strutture per l’infanzia sono elementi del suo progetto per una città a misura delle cittadine.

A Francoforte sposa il collega Wilhelm Schütte.

Con il mutare del clima politico e l’affermazione del nazismo, insieme al marito partecipa a un nuovo trasferimento, in Unione sovietica, come membro del team di tecnici invitati per la pianificazione delle città di nuova fondazione. Qui diviene responsabile del settore delle strutture per l’infanzia. Disegna e realizza asili, scuole, aree gioco, arredi, secondo i criteri pedagogici più avanzati e sempre finalizzati alla salute e al benessere dei bambini, ma anche delle loro delle madri.

Per assolvere il suo incarico viaggia in diverse aree dell’Urss, ma compie anche viaggi di studio, insieme al marito, in Cina e Giappone.

Nel 1937 il precipitare della situazione politica internazionale costringe i coniugi Schütte a lasciare il paese. Inizia per loro un difficile periodo di migrazione attraverso l’Europa. Solo in Turchia l’architetta riceve incarichi dal Ministero dell’istruzione per la progettazione di edifici scolastici, che realizzerà tra il 1938 e il 1940.

L’impegno etico è molto sentito e spesso manifestato «l’architetto è responsabile del progresso del mondo anche al di fuori della sua professione» la porta a condividere le azioni della resistenza antinazista. Durante una missione in patria, a Vienna, è sorpresa e arrestata dalla Gestapo. Sottoposta a processo, in un primo tempo viene condannata a morte e poi alla detenzione. Rinchiusa dal 1940 nel carcere di Aichach in Baviera, sarà liberata solo nel 1945 dalle truppe americane.

Torna a Vienna nel 1947 e riceve dal nuovo governo soltanto pochi incarichi pubblici, tra cui alcuni asili nido e due edifici residenziali, realizzati in collaborazione con il marito, da cui nel frattempo si è separata. Continua nel lavoro teorico partecipando ai più importanti congressi internazionali di architettura, tra cui alcuni CIAM. Esprime il suo pensiero in numerose conferenze anche durante nuovi viaggi all’estero, come in Cina e a Cuba,in veste di presidente dell’Unione delle donne democratiche austriache.

Soltanto a partire dagli anni Ottanta il governo austriaco le attribuisce importanti onorificenze, tra cui la croce d’oro, in riconoscimento dell’instancabile e coraggiosa attività professionale e civile.

L’Österreichisches Museum für angewandte Kunst di Vienna (MAK) nel 1993 le dedica un’importante mostra antologica e pubblica il testo che ne raccoglie e documenta l’opera e la vita. Tra le manifestazioni successive, particolare spicco assumono quelle promosse dal Politecnico di Milano che, nel 1996, organizza un convegno internazionale e una mostra, cui partecipa di persona l’architetta quasi centenaria. Da allora sono sempre più numerose le istituzioni culturali che le dedicano letture, conferenze, riedizioni, mostre personali e inseriscono il suo lavoro nelle esposizioni a tema su quegli anni Venti, nei quali è nata l’architettura moderna.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Margarete Schütte-Lihotzky

AA.VV., Margarete Schütte - Lihotzky. Soziale Architektur Zeitzeugin eines Jahrhunderts, Wien, MAK 1993 e Wien, Bohlau Verlag 1996

Lorenza Minoli (a cura di), Margarete Schütte Lihotzky. Dalla cucina alla città, Milano, F. Angeli 1999

Margarete Schütte-Lihotzky, Ricordi dalla resistenza. La vita combattiva di una donna architetto dal 1938 al 1945, (a cura di Giovanni Denti), Alinea,Firenze 1997

Il sito del Victoria & Albert Museum di Londra

Musei con sezione dedicata permanente:

Österreichisches Museum fur angewandte Kunst, Vienna e Historische Museum, Francoforte

Referenze iconografiche:

Prima immagine: Margarete Schütte-Lihotzky all'inaugurazione della piazza a lei dedicata, a Radstadt, 1997. Immagine in pubblico dominio.

Seconda immagine: Angolo cucina progettato da Margarete Schütte-Lihotzky, Minneapolis Institute of Art.

Terza immagine: Unità abitativa progettata Vienna 21., Donaustädterstrasse 99.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023