Nata a Barneville, il 17 novembre 1903, da una famiglia di umili origini, Marie-Louise Lempérière viene oggi ricordata per essere stata condannata a morte nel 1943, con l’accusa di aver praticato illegalmente ventisette aborti.

Il suo destino fu contrassegnato dal precoce spirito ribelle che caratterizzò la sua intera esistenza: a sedici anni, Marie-Louise, che lavorava come domestica presso una fattoria, sentiva di vivere una vita che non le apparteneva. Sognava un futuro diverso, lontano dalla fatica e dal sacrificio. Immaginava che una volta divenuta adulta, sarebbe stata diversa dalle altre donne, deformate dalle numerose gravidanze, relegate al focolare domestico e alla cura dei figli.

Compiuti i diciott’anni, Marie-Louise lasciò la fattoria e venne assunta come cameriera presso un ristorante. In questo periodo iniziarono per lei i primi problemi con la giustizia: nel 1921 il Tribunale di Valognes le contestò un furto, condannandola al pagamento di 100 franchi. Ciò non fermò Marie-Louise dal commettere altri due furti per i quali fu poi condannata il 26 aprile 1927 dal Tribunale correzionale di Coutances ad un mese di detenzione e il 19 dicembre a due mesi di detenzione dal Tribunale correzionale di Cherbourg. Tra le detenute che Marie-Louise conobbe in carcere, vi furono le faiseuses d’anges, donne che avevano praticato illegalmente un aborto.

Nel 1929 sposò Paul Giraud, sergente maggiore della marina militare, con cui ebbe due figli. La coppia si trasferì a Cherbourg. Nei primi dieci anni di matrimonio, Marie-Louise cercò di conformarsi al ruolo esclusivo di moglie e madre, conducendo una vita monotona e solitaria, poiché il marito si assentava spesso per lavoro.

Allo scoppio della guerra, in una Francia governata dal regime di Vichy e in seguito occupata dalle truppe naziste, le donne si trovarono a fronteggiare difficoltà immense, sole e con un grande senso di solitudine. Molte videro i propri mariti fatti prigionieri dai tedeschi o chiamati al fronte, alcune intrattennero in gran segreto relazioni con amanti o con gli stessi nazisti. Tra le conseguenze di tutte queste circostanze, diverse donne si trovarono ad affrontare gravidanze indesiderate o che non poterono portare avanti: è in questo contesto che Marie-Louise giocherà un ruolo fondamentale.
L’appartamento della famiglia Giraud divenne il luogo in cui molte donne, sotto compenso, si rivolsero a Marie-Louise per farsi praticare un aborto in piena clandestinità, infrangendo la legge del 1920 che vietava tale pratica e la propaganda anticoncezionale.

La prima cliente fu Gisèle, il cui fidanzato fu costretto ad arruolarsi nell’esercito tedesco, senza poterla così sposare e crescere assieme il loro bambino; con grande dolore la coppia si rivolse a Marie-Louise affinché Gisèle potesse abortire. Munita di una canula collegata ad una pera da clistere, le iniettò delicatamente nel collo dell’utero dell’acqua bollita, diluita con sapone. In seguito a tale procedura, le donne, così come anche Gisèle, provavano atroci dolori addominali: ciò significava che l’operazione era riuscita, mentre in alcuni casi necessitava di essere ripetuta.

La voce si sparse e sempre più donne bussarono all’abitazione dei Giraud: Gaby, rimasta incinta di un soldato tedesco, Jeanne, quarantadue anni e incinta del settimo figlio, la cui gravidanza avrebbe messo a rischio la propria salute, Yvonne, rimasta incinta del proprio amante, pregò Marie-Louise di praticarle un aborto, prima che il marito, fatto prigioniero, potesse tornare in patria. A queste clienti ne seguirono molte altre. Ben presto, tale attività divenne per Marie-Louise una grande fonte di reddito. Per timore che la moglie lo cacciasse di casa, Paul Giraud non la denunciò ma accettò passivamente la situazione e la presenza di Émile, l’amante di Marie-Louise.

Negli anni Quaranta, i metodi abortivi erano rudimentali e pericolosi; molte donne, nel tentativo di abortire, persero la vita o subirono gravi complicazioni. Come scriverà più tardi Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso, in quel periodo l'aborto clandestino era un dramma silenzioso, vissuto nell’ombra della punizione sociale e giuridica. Tra le donne che si rivolsero a Marie-Louise, vi fu Denise, che aveva provato a gettarsi dalle scale per provocarsi un aborto, senza però riuscirci. Sebbene l'aborto fosse vietato, ciò non impediva alle donne di ricorrervi, spesso in condizioni di estrema disperazione.
Negli anni Settanta, Simone Veil, Ministra della Salute, denuncerà le terribili conseguenze degli aborti clandestini, rivelando le atrocità che molte donne dovettero subire e ribadendo la necessità di garantire loro il diritto ad abortire in un contesto medicalmente sicuro. Tra le clienti di Marie-Louise, vi fu anche Louise M. La donna morì a causa di complicanze in seguito all’aborto praticatole dalla stessa Marie-Louise. In un contesto socio-politico che puniva severamente questa pratica, Louise M. si era rifiutata di rivelare la reale causa dei suoi atroci malesseri al medico per paura di essere denunciata.

Il 15 febbraio 1942, il regime di Vichy inasprì la legge sull’aborto, definendolo un “Crimine di Stato” passabile della pena di morte. Nell’ottobre dello stesso anno, presso l’ufficio del commissario Jean Trouvé pervenne una lettera anonima che, in maniera dettagliata, riferiva quanto avveniva in via Grand-Vallée al civico 44, per opera di una certa Marie-Louise Giraud, nonché l’identità delle donne che si erano rivolte a lei. L’autore della lettera non si palesò mai: data l’approfondita conoscenza che l’anonimo aveva della donna e di fatti avvenuti molti anni prima, si suppone che a denunciarla fu proprio il marito.

Il 24 ottobre 1942 il giudice Henry Segondat accusò formalmente Marie-Louise per aver praticato illegalmente numerosi aborti e per lei si riaprirono le porte del carcere di Cherbourg. Vista la gravità del reato che le fu contestato, il processo si svolse a Parigi, presso il Tribunale di Stato, dove venne interrogata assieme al marito e alle sue clienti. Durante l’udienza, Marie-Louise si difese dicendo di aver voluto aiutare delle donne sull’orlo della disperazione ma, in una società come quella di Vichy, fondata sul concetto di “Lavoro, Patria e Famiglia”, le sue azioni rappresentavano la corruzione morale e, secondo quanto previsto dalla legge, le persone che come lei privavano il Paese di nuove nascite, dovevano essere punite con una pena esemplare.
Leggendo le disposizioni dell’art. 12 del Codice Penale, il giudice Paul Devise pronunciò la condanna di Marie-Louise alla pena di morte.

Rinchiusa in una cella nella prigione della Roquette, con le catene ai piedi, Marie-Louise visse gli ultimi mesi della sua vita in preda al tormento e alla paura, arrivando persino a convincersi di meritare quella sorte meschina, sebbene non avesse mai fatto del male a nessuno. Il mattino del 30 luglio 1943 Marie-Louise venne fatta rivestire dei propri abiti e le fu dato da bere dell’alcol per stordirla. L’ultimo suo pensiero fu per i suoi figli: quando le vennero rasati i capelli, chiese che una sua ciocca fosse conservata e consegnata a loro. Dopo essersi confessata, fu condotta verso il patibolo e alle 5:25 ebbe luogo l’esecuzione.

Questo tragico episodio di cronaca anticipa il lungo percorso dei movimenti femministi negli anni del Dopoguerra che, con grande determinazione, provocarono una rottura generazionale e ribaltarono le strutture sociali, dando vita a una nuova coscienza collettiva femminile e portando significativi cambiamenti sul piano legislativo.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Marie-Louise Giraud

Szpiner Francis, Une affaire de femmes: Paris 1943, exécution d’une avorteuse, Parigi, Éditions Balland, 1986.
De Beauvoir Simone, Il secondo sesso, Parigi, Il Saggiatore, 2016.

Veil Simone, Elles sont 3000.000 chaque année, discours pour le droit à l’avortement devant l’Assemblée Nationale, 26 novembre 1974, Parigi, Éditions Points, 2023.



Voce pubblicata nel: 2025

Ultimo aggiornamento: 2025