Empona, (detta anche  Epponina, nel resoconto storico di Tacito), fu una donna celtica di grandi qualità e coraggio, molto ambìta; sposò il nobile Sabino, compagno di lotta di Giulio Civile, capo dei Batavi. Civile, pur avendo ottenuto la cittadinanza romana , guidò la ribellione delle popolazioni galliche e germaniche contro il dominio imperiale di Roma nel 69 d.C. La sua storia ci è raccontata da Plutarco nel dialogo “Sull’amore”(composto alla fine del I° secolo d.C.) , come esempio di coraggio e di una fedeltà coniugale che raggiunge l’eroismo. Nacquero dal matrimonio due gemelli: uno morì poi in Egitto, l’altro fu ospite di Plutarco stesso a Delfi e gli poté riferire molti particolari concreti sulla figura della madre. Il nome Empona/Epponina è evidentemente collegato con Epona, divinità gallica dei cavalli, protettrice dei cavalieri; Plutarco afferma che questo titolo corrisponde, in greco, ad “Eroina”.

La rivolta delle popolazioni celtiche fu stroncata dagli eserciti di Vespasiano nel 70 d.C. Di fronte al fallimento della sua impresa, Sabino avrebbe potuto facilmente recarsi in esilio in un paese amico; non volle però abbandonare l’amatissima moglie Empona, e non poteva portarla con sé. Finse di volersi suicidare, ma con l’aiuto di due suoi liberti si nascose in un sotterraneo dei propri magazzini di campagna e mandò un messaggero a recare alla sposa la notizia falsa del suo suicidio e di un incendio che aveva distrutto il suo corpo insieme alla tenuta agricola, perché il profondo lutto della donna rendesse più credibile la sua morte. In effetti, di fronte alla terribile notizia Empona si gettò a terra per tre giorni e rischiava di lasciarsi morire; ma il marito, preoccupato per la sua salute, le fece sapere che era vivo e le chiese di mantenere il segreto e la finzione. Empona e Sabino si rividero la notte stessa e continuarono  così, per sette mesi, a incontrarsi di nascosto nel sotterraneo. Infine la sposa gli tagliò i capelli, lo travestì rendendolo irriconoscibile e lo portò con sé a Roma, sperando di potergli ottenere il perdono. Il tentativo non riuscì e i due sposi tornati in Gallia continuarono la loro convivenza clandestina; solo ogni tanto la moglie tornava in città, per farsi vedere dalle amiche. Rimasta incinta, riuscì a nascondere persino alle altre donne la sua gravidanza, pur facendo bagni con loro; utilizzò infatti una sostanza che le celtiche applicavano sui capelli per renderli fulvi e dorati e inturgidisce e dilata la carnagione; se la spalmò abbondantemente su tutto il corpo facendolo sembrare molto ingrassato, per dissimulare la crescita del suo ventre. Nascosta nel sotterraneo, sopportò da sola ,insieme al  marito, le doglie e partorì e allattò i suoi due gemelli maschi, forte “come una leonessa”. Infine la coppia fu scoperta ed entrambi i coniugi furono portati a Roma, dove affrontarono insieme la condanna a morte nel 79 d.C.

L’uccisione di Empona fu il gesto più ripugnante ed empio dell’imperatore Vespasiano: la donna mantenne un contegno estremamente fiero e audace di fronte al tiranno e, suscitando la commozione dei presenti, gli disse che non avrebbe mai scambiato il proprio destino con quello di lui, perché la sua vita  con Sabino nell’oscuro sotterraneo era stata più felice di quella dell’imperatore sul suo trono dorato. Anche Plutarco, che racconta questi episodi, era molto critico verso il dispotismo di Vespasiano e salutò con gioia la fine completa della dinastia flavia, avvenuta nel 96 d.C. con la morte di Domiziano. Subentrò poi l’epoca più “illuminata” di Traiano e di Adriano; l’autore greco, retrospettivamente, considerò l’estinzione dell’odiosa dinastia flavia come una punizione divina per gli eccessi orribili compiuti da loro.

Nel racconto plutarcheo si delinea per Empona una “virtù” femminile simile a grandi linee a quella tradizionalmente attribuita ai maschi ( come capacità di fronteggiare il pericolo, il disagio, la fatica e  il rischio mortale), ma ci sono anche particolari (per esempio la gravidanza dissimulata, il parto nel sotterraneo, le fiere parole finali di fronte all’imperatore) che indicano un preciso resoconto fatto dal figlio in base ai racconti della madre e sono riferibili solo a un soggetto femminile. Plutarco ne fa un esempio di come le donne, restando fedeli a se stesse, possano dare prova di coraggio e di libertà come i maschi e con questo racconto avvia a conclusione il suo discorso , che intende  rivalutare l’amore eterosessuale e le scelte autonome delle donne. Il dialogo “Sull’amore” è un’operetta “morale” che si muove un po’ in controtendenza rispetto alla cultura greca, che tradizionalmente aveva celebrato molto di più le qualità etiche e formative dell’amore omosessuale maschile, nella coppia amante maturo/giovane amato, a discapito delle autentiche capacità femminili.  

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Empona

Tacito, Storie, IV, 55 - 67
Plutarco, Sull’amore, 770d-771d, Piccola Biblioteca Adelphi 188, Milano 1986, introduzione di Dario del Corno, traduzione e note di Vittoria Longoni

Ci sono in Internet molte immagini di Epona, Es : Epona era la dea celtica dei cavalli e della fertilità. Si pensa che il suo nome derivi da una parola gallica che vuol dire “gran cavallo”. Era spesso raffigurata come una donna a cavallo alla maniera delle Amazzoni, accompagnata da un puledro, che rappresenta il suo ruolo di dea della fertilità. Fu accolta nel pantheon romano e il suo culto si diffuse in tutta Europa grazie alla cavalleria romana che l’adottò come protettrice. Il suo ruolo, alla fine, si allargò e divenne la dea di tutti coloro che lavoravano coi cavalli, come descrive Apuleio nella sua opera chiamata Asinus aureus (L’asino d’oro). Quest’opera ci dice anche che in molti fienili venivano eretti piccoli altari dedicati ad Epona, perché ne proteggesse i cavalli che li occupavano



Vittoria Longoni

Attiva nelle lotte sociali e per i diritti civili, nei movimenti degli anni Settanta e nelle “minoranze di sinistra” di gruppi e partiti. Sposata e con un figlio. Laureata in Filosofia  e in Letteratura  greca, ho pubblicato testi per le scuole, commenti  e traduzioni. Ho insegnato per 40 anni in vari tipi di scuola e infine al liceo classico; ora tengo corsi di greco antico e di cultura classica  all’Unitre e all’Humaniter. Femminista, collaboro con la Libera università delle Donne e con la Casa delle Donne di Milano, nei gruppi Libr@rsi e Bibliomediateca.

Leggi tutte le voci scritte da Vittoria Longoni


Voce pubblicata nel: 2018

Ultimo aggiornamento: 2024