Il 25 aprile 2020 le dodici amministrazioni comunali afferenti al territorio di San Demetrio ne’ Vestini e di Rocca di Mezzo, in provincia de L’Aquila, hanno onorato la memoria di Cesira Fiori intitolandole l’Istituto Comprensivo. Motivo di questo riconoscimento, che si aggiunge a quello di averle titolato una strada a Roma, è la straordinaria esperienza politica di vita e di lavoro, soprattutto durante la Seconda guerra mondiale.

La tempra di Cesira fu forgiata dalle umili origini e dalle vicende familiari: Massimo, il padre di Cesira (nata a Roma il 25 novembre 1890), giunto dalla Sabina, lavorava come “cascherino, cocchiere e stallino”, mentre la madre Giulia Mora Mornunti, originaria di una frazione di Assisi, svolgeva lavori domestici, spesso come lavandaia. La gioventù di Cesira, segnata dalla prematura scomparsa della madre, fu vissuta all’insegna dello studio presso le scuole normali dell’Istituto Vittoria Colonna nel centro di Roma, frequentate dall’alta borghesia capitolina, che il padre riuscì comunque ad assicurarle con grandi sacrifici, comprendendo che l’emancipazione culturale avrebbe rappresentato per la figlia lo strumento fondamentale anche per la sua indipendenza economica.

Fu la sua maestra, Anita Dobelli Zampetti, a farla entrare in contatto – a soli dodici anni - con l’Associazione nazionale della donna, situata in piazza Nicosia, che si batteva per i diritti e la tutela delle donne. Dal 1907, Cesira iniziò a insegnare come maestra elementare nelle scuole rurali statali di Velletri, sperimentando nuovi metodi – sulla base dei lavori di Maria Montessori – per risvegliare l’interesse degli scolari e per abituarli all’osservazione.

Nel 1912 si diplomò anche in pedagogia e in lingua francese presso l’università di Roma e nel 1915 vinse il concorso di maestra elementare nelle scuole di Roma.

Fin dai suoi esordi lavorativi, aderì al movimento per l’istruzione nell’Agro romano, di cui faceva parte anche Sibilla Aleramo, dedicandosi alla organizzazione del sindacato dei maestri, manifestando simpatie socialiste e sensibilità nei confronti delle donne lavoratrici.

Accanto al lavoro nella scuola, Cesira si dedicò ben presto anche alla scrittura, pubblicando racconti di vita contadina (Il Farfa), passione che coltivò per tutta la vita e in cui trovò conforto e sostegno nel periodo di prigionia.

Inoltre, nel 1923 partecipò al concorso nazionale Libri regionali d'Italia indetto dalla casa editrice Mondadori nel quale il suo libro Il Lazio si classificò al primo posto. Il libro venne adottato in molte scuole elementari e medie di Roma e del Lazio ma ben presto il Ministero della Pubblica Istruzione ne ordinò il bando a causa dell’atteggiamento apertamente antifascista di Cesira che aveva aderito al Partito Comunista.

L’ostracismo nei suoi confronti raggiunse l’apice nell’aprile 1928 quando il governatore di Roma ne decretò l’allontanamento dalla docenza per incompatibilità politica: Cesira tentò di opporsi presentando ricorso che, però, fu respinto. Pur abitando a Roma, in via del Colosseo, continuò in segreto ad insegnare a Velletri, e nel frattempo iniziò anche ad impartire lezioni private di lingua italiana ai figli dei funzionari dell’ambasciata dell’Unione Sovietica e a tradurre racconti per la «Rivista di letterature slave».

Proprio dalla sua abitazione romana, il 27 aprile 1933, fu prelevata con il figlio adottivo Mario Mammucari e arrestata con l’accusa di attività cospirativa contro il regime fascista. Certo è che Cesira, dal 1928 al 1933, era stata costantemente sorvegliata dalla polizia segreta che l’aveva schedata come ‘comunista’, per la frequentazione con l’ambasciata sovietica, per aver attrezzato una biblioteca circolante per la diffusione di romanzi a sfondo sociale e soprattutto in quanto curatrice de ‘La falce’, foglio di propaganda clandestina destinato ai contadini. Cesira e il giovane Mario furono prima detenuti a Roma, poi a Perugia e il 15 gennaio 1934 furono entrambi destinati per cinque anni di confino a Ponza dove restarono fino ad aprile 1935 per essere trasferiti alla colonia per ‘coatti comuni’ di Ustica (dove fu raggiunta dal padre) e, a settembre dello stesso anno, nuovamente trasferiti per motivi di salute di Cesira a Maratea.

Terminato il periodo di confino nella primavera del 1938, restò a Maratea dove per un anno fissò la sua residenza e dove continuò ad essere “riservatamente vigilata”.

Nel maggio 1939 si trasferì a S. Demetrio ne’ Vestini, riuscendo a ricongiungersi col marito Umberto Cumar, con il quale condivise la lotta partigiana partecipando in prima linea alla riorganizzazione dei Comitati di liberazione nazionale nella provincia dell'Aquila, dove era rimasta su disposizione della sezione comunista romana che aveva ritenuta più opportuna la sua presenza in Abruzzo. Quando San Demetrio ne’ Vestini fu occupata dalle truppe tedesche, Cesira e Umberto animarono la resistenza organizzando la banda partigiana ‘Giovanni De Vincenzo’ il cui raggio di azione si estendeva nella zona del Gran Sasso.

Nella primavera del 1944, un’azione di sabotaggio interruppe le linee telefoniche di collegamento tra il quartier generale tedesco in Italia, insediatosi a Rocca di Cambio, e le unità dipendenti: Cesira e Umberto, ritenuti responsabili dell’azione, vennero ricercati per essere fucilati, ma grazie alla segnalazione del locale maresciallo dei carabinieri, si rifugiarono sul Gran Sasso ritornando in paese solo dopo la partenza della guarnigione tedesca.

Come riconoscimento del suo impegno e prima dell’arrivo delle truppe alleate, nel giugno 1944 fu nominata sindaca di San Demetrio nei Vestini dal locale Comitato di liberazione, restando in carica per cinque mesi.

Nell’ottobre 1944 fece definitivamente ritorno nella capitale dove restò per tutta la vita (morì il 9 gennaio 1976), ricominciando ad insegnare come maestra elementare e affiancando al suo impegno scolastico una intensa attività sindacale e una altrettanto intensa e apprezzata attività di scrittrice collaborando con periodici, quotidiani e riviste italiane («Il Contemporaneo», «l'Unità», «Il Ponte») e con riviste di letteratura slovena e russa. Fu inoltre membro della commissione cultura del Comitato centrale del Partito Comunista e dagli anni '60 si dedicò ancora più intensamente alla scrittura pubblicando romanzi autobiografici nei quali testimoniava la sua intensa attività di combattente: Nel paese degli scordati (1960), Una donna nelle carceri fasciste (1965) e Proibito vivere (1968). Dopo la sua morte furono pubblicati La confinata (1979), La figlia dello Spirito Santo (1982) e I nostri Animali (1984).

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Cesira Fiori

Fiori, Una donna nelle carceri fasciste, Roma, Editori Riuniti, Roma, 1965

Dal Pont, S. Carolini, L'Italia al confino 1926-1943, Milano, La Pietra, 1983, vol. IV, p. 1384

Mariani, Detenute politiche nel carcere fascista: drammaturgie di vita, Ediciones Universidad de Salamanca, 2011, pp. 367 - 378

Carpinelli, Cesira Fiori: una donna al confino di Ustica, Lettera del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica n. 44-45 maggio-dicembre 2013, pp. 40 -43

Referenze iconografiche: Cesira Fiori (dalla copertina del suo libro "La confinata", Edizioni La Pietra, 1979

Voce pubblicata nel: 2020

Ultimo aggiornamento: 2023