Ho conosciuto Elvira Badaracco dopo la metà degli anni ’70. Il femminismo era esploso nelle piazze. Le donne manifestavano, e anche pensavano, scrivevano, parlavano in pubblico e nei gruppi di autocoscienza. Carla Lonzi pubblicava Sputiamo su Hegel nel ’74, nel ’75 si era aperta la Libreria delle donne. Nei primi anni ’70, sotto la spinta e la direzione di Laura Balbo, all’università statale era nato il Griff, di cui facevo parte dal ’76. E tanti altri gruppi, alcuni più legati al contesto locale, altri già più allargati.
E nel frattempo si promulgavano le nuove leggi sul divorzio, il diritto di famiglia, il lavoro, l’aborto….
All’interno di questo clima infuocato, due donne discutono su come raccogliere tutto ciò che sta avvenendo, su come fissarlo nella memoria, su come archiviarlo. Una, Pierrette Coppa, è editor nella casa editrice Mazzotta, e vorrebbe salvare i manoscritti di donne scartati dalla casa editrice, l’altra è Elvira Badaracco, dirigente socialista e consigliera comunale, che vorrebbe salvare i testi di carattere politico-istituizionale. Partendo dalla constatazione che nella biblioteca della Fondazione Feltrinelli non esisteva la voce “donna”, riflettendo sull’invisibilità di tutto ciò che avevano scritto le donne negli anni e nei secoli precedenti, convergono sul pericolo che anche di ciò che sta avvenendo possa perdersi la memoria. Non si limitano a pensare, cominciano a organizzarsi e contattano un gruppetto di giovani studiose e ricercatrici femministe di Milano, che danno una forte spinta verso l’attenzione al presente: Laura Grasso, Beatrice Perucci, Adriana Perrotta Rabissi, Pucci Selva, Emma Saramuzza e io, che sono stata contattata perché facevo parte del GRIFF.
Così ho conosciuto Elvira.
Io non la conoscevo, ma lei aveva una lunga storia: all’interno del partito socialista si era occupata delle donne. Della storia delle donne dalla nascita del partito. Del problema del lavoro, del rapporto tra salute e lavoro, del diritto al divorzio e all’aborto. Era stata anche consigliera comunale, dove aveva battagliato per la nascita dei consultori. Dunque un’attenzione sempre vigile, a livello istituzionale.
Attenzione e curiosità e desiderio di conoscere e di aprirsi al mondo avevano caratterizzato anche la sua vita prima della militanza politica. Era nata nel 1911 ad Alessandria, unica figlia di una famiglia della buona borghesia di provincia, educata nei collegi di Losanna e di Londra. Poi, anni più tardi, a 24 anni, aveva ripreso gli studi interrotti per dare in un anno la maturità classica e iscriversi all’Università e laurearsi con una tesi su Italo Svevo. Si era sposata, ma non era stato un matrimonio felice, concluso dopo 14 anni. Ed era approdata alla militanza politica e alla presenza nelle istituzioni.
E questa attenzione istituzionale l’ha anche portata a imporre al gruppo di studiose che avevano aderito al progetto di non limitarsi a essere un gruppo informale, ma di costituirsi ufficialmente, con tanto di statuto presso un notaio e l’ospitalità presso la Fondazione Feltrinelli di via Romagnosi.
Così, nel ’79 è stato costituito il Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna, che si è poi allargato fino a coinvolgere storiche e studiose anche di altre città (Marina Zancan, Franca Bimbi, Paola Nava, Ettina Confalonieri e tante altre…..) 30 socie riportate nel primo bollettino del Centro, nell’81.
Quello che ci accomunava era l’idea di documentare si potrebbe dire in corpore vili, nel momento stesso in cui accadeva, il movimento femminista, per raccogliere quanta più documentazione possibile per farne memoria, nella convinzione che fosse urgente recuperare e salvaguardare quel patrimonio prima che andasse perduto.
Ma quello che mi colpiva allora, e a ripensarci continua a colpirmi anche ora, era la fortissima volontà di Elvira, la sua determinazione, la sua testardaggine nel pensare all’urgenza di salvare le voci del movimento femminista. La sua capacità di aggregare le persone, perché non si poteva resisterle.
Non so come spiegarmi, non eri attratta solo dal progetto, non era qualcosa che aveva a che fare solo con la militanza o solo con l’intellettualità, era proprio un richiamo di tipo affettivo, e nutritivo. Ricordo le molte volte che al pomeriggio ci riunivamo a casa sua (anche perché la nostra “sede” alla Feltrinelli era un piccolo soppalco) una bella casa con moltissimi libri, la casa di una signora borghese, di gusto sicuro, come era lei, sempre elegante, a volte un po’ retró rispetto a noi che eravamo più giovani, e dopo aver discusso su comodi divani, cenavamo con piatti ricercati e sempre buonissimi (cucino ancora spesso un’insalata di pollo con ananas e sedano che ho imparato da lei). Andando poi a riguardare la sua biografia, lei sottolineava molto il lavoro di crocerossina svolto negli ospedali militari durante la guerra, peraltro con il rimpianto di non aver trovato la strada per impegnarsi più attivamente nella Resistenza. E ho pensato che la cura dei malati, la vicinanza, l’attenzione e la passione che là aveva messo fosse una sorta di attitudine di base che la coinvolgeva anche quando si trattava di salvare non malati, ma documenti.
Non è stato facile, soprattutto agli inizi, innanzitutto per una certa diffidenza delle donne ad affidare al Centro il loro materiale, come se si volesse imbalsamare il movimento – a volte si aveva l’impressione che ci considerassero avvoltoi – e poi anche per la specificità del materiale, spesso grigio, volantini senza data, ecc...
Abbiamo in fondo superato questa diffidenza inscrivendo la raccolta dei materiali – che è durata più anni, si è estesa a tutte le province del territorio lombardo e ha convolto molte studiose del Centro – all’interno del progetto di ricerca che approderà nell’85 a un libro, edito da Franco Angeli, dal titolo Dal movimento femminista al femminismo diffuso a cura di Laura Grasso e Annarita Calabrò. Il titolo non era stato scelto a caso, ma proprio per sottolineare che si trattava di un movimento vasto, che abbracciava situazioni anche non strettamente legate al femminismo militante. Titolo che aveva suscitato lunghe discussioni tra noi e qualche resistenza.
All’inizio degli anni ‘80 avviene l’incontro con Annarita Buttafuoco – una giovane storica, ma già prestigiosa presidente della rivista femminista DWF – che stava completando allora a Milano le ricerche che poi avrebbero dato adito alla stampa nel 1985 del libro Le Mariuccine. Una presenza diventata importante per il Centro.
E quegli anni sono stati importanti per il consolidamento del Centro.
Tanto che in occasione del Seminario Transnazionale sui Centri delle donne nell’82 e poi ancora nell’83 abbiamo incontrato Marina Tartara e Licia Conte che ci hanno proposto di affidare al Centro un’ora alla settimana della trasmissione della terza rete Rai “OraD”, curata da loro. Così il sette gennaio dell’83 è andata in onda la prima diretta. E sarebbe poi continuata per tredici settimane, con la mia conduzione.
In quella prima diretta c’erano Elvira, Pierrette, Beatrice e io. Prima di andare in diretta avevamo discusso molto perché non volevamo parlare solo dei centri, volevamo parlare di un femminismo più diffuso nella società e quindi avevamo scelto come filo connettivo i “luoghi delle donne”. Ma comunque nella prima puntata presentavamo il Centro, dunque dovevamo stare attente a non dare l’impressione di un circolo chiuso, inoltre avevamo anche un po’ paura della diretta.
Ed Elvira si prestava di buon grado a fare le prove, senza nessuna rivendicazione della sua lunga storia politica e della sua abilità a parlare in pubblico.
Perché anche questo, oggi, a ripensarci, mi colpisce la sua disponibilità a mettersi alla pari, a non far pesare né la sua età, né la sua storia, direi la sua attenzione all’ascolto. A vedere sempre il lato positivo, costruttivo.
Nell’80 aveva quasi settant’anni e noi ne avevamo almeno trenta meno di lei, ma era lei la più entusiasta e la più determinata, come aveva anche detto in quella prima puntata di ORA D.
Per quanto avessi sempre fatto molto volentieri il lavoro che avevo compiuto per molti anni, mi era sembrato che adesso occorreva fare questo e proprio l’entusiasmo mi ha portato a decidere di lasciare ogni altra attività e dedicarmi a questo Centro.
Poi, sempre con il filo d’Arianna del femminismo diffuso, abbiamo dedicato la seconda puntata al rapporto delle donne con il proprio corpo, la terza ai luoghi di incontro delle donne a Milano la sera, la quarta al lavoro famigliare, la quinta alle donne in cassa integrazione, la sesta alla mostra “esistere come donna”, ecc. ecc. Infine, nell’ultima puntata si riepilogava il punto di partenza e il filo conduttore del nostro intervento a ORAD: analizzare quei momenti in cui si materializza la capacità d’azione, di riflessione, di autoriflessione, di creatività, di elaborazione teorica delle donne, quindi i momenti in cui il femminismo diffuso atomizzato emerge da percorso sotterraneo e si rende visibile.
Contemporaneamente all’uscita del libro o forse qualche mese prima in marzo, il Centro allestisce in piazza Santo Stefano una Mostra mercato dei libri scritti dalle donne. Da donna a donna.
Nel gennaio 1988 un convegno al Salone Pier Lombardo: Svelamento. Sibilla Aleramo. Una biografia intellettuale. Relazioni discussioni letture drammatizzazione.
Nel giugno 1988, un convegno internazionale: Perleparole. Le iniziative a favore dell’informazione e della documentazione delle donne europee, con la presenza di numerosi archivi e biblioteche dedicate.
Nel 1991 il lungo lavoro di ricerca di un linguaggio che rappresentasse adeguatamente i contenuti dei documenti delle donne porta alla pubblicazione di Linguaggiodonna. Primo thesaurus di genere in lingua italiana. A cura di Beatrice Perucci e Adriana Rabissi.
Nel 1989 il Centro riceve il Diploma e la Medaglia d’oro di riconoscenza della Provincia di Milano.
L’amicizia tra Elvira Badaracco e la presidente dell’Unione Femminile, Luisa Mattioli, apre al Centro la possibilità di avere la sua sede nel 1991 presso l’Unione Femminile. Coordinatrice sarà Beatrice Perucci.
Sempre nel 1991, le viene assegnato l’Ambrogino d’oro del Comune di Milano.
E quando, nel 1994, è morta, improvvisamente, a 83 anni – e ricordo la tristezza di quella mattina di gennaio, nella piccola cripta della clinica – noi l’abbiamo voluta ricordare riunendoci la sera per una cena a casa mia, una cena in cui si sono intrecciati i ricordi di ciascuna di noi e si è delineata la prospettiva della Fondazione intitolata a suo nome, che lei aveva fortemente voluto e ufficializzato con un lascito testamentario per assicurare una prospettiva di sviluppo e di rafforzamento, nominando Annarita Buttafoco garante a vita del Centro.
Prospettiva che è diventata concreta nel dicembre del ‘94, con la direzione di Annarita Buttafuoco, che Elvira apprezzava e ammirava per la sua statura di studiosa e di storica, ma anche amava come una figlia. Così è iniziata la storia della Fondazione, una lunga storia, ancora attiva e presente nello studio degli archivi del femminismo.