Fidalma Garosi, per la famiglia Tina, nasce a Burana, in comune di Bondeno, il 9 ottobre 1921. Il padre, considerato disertore nella Grande Guerra del ’15-’18 (si spara a un piede per non partire) finisce in prigione. Poi diviene antifascista. Questo fatto segna la sua famiglia che in seguito viene costantemente perseguitata dai fascisti.
A casa sua sono tutti braccianti antifascisti che cercano di sbarcare il lunario allevando bestiame e coltivando canapa, barbabietola e granoturco. La grande povertà costringe Fidalma ad andare, a soli 12 anni, assieme alla madre a fare la mondina a Vercelli, a Novara e a Pavia.
Il grande sogno di Fidalma è quello di fare l’infermiera e quel sogno si tramuta in una precisa volontà. Per guadagnare qualche soldo per la scuola va a fare la bambinaia a Novara, e dovrebbe tenere sempre in braccio un bambino che pesa come piombo (perché non gli vengano le gambe storte), ma lei trasgredisce e lo fa camminare ai giardini. Poi è ad Arona a lavorare per un negozio come addetta a portare la spesa a casa dei clienti pedalando su di “un biciclettone”. Finalmente accede ad un corso accelerato a Ferrara, fa pratica all’ospedale di Bondeno; ottiene il diploma, ma sopra ci scrivono che non è raccomandabile per via del padre antifascista. Non si dà per vinta, cancella la scritta.
Grazie all’aiuto della sua vecchia maestra elementare, che è di fede comunista, nel 1940 arriva ad Udine e viene assunta nell’infermeria del Convitto per signorine Uccellis. Il lavoro le piace ma la libertà è poca: 3 ore di permesso ogni 15 giorni; il rispetto delle gerarchie imposte dal Convitto le sta stretto e decide di cercare impiego all’Ospedale Civile.
Quando, nel reparto paganti, un gerarca la perseguita, la molesta, vuole farla licenziare e le chiede di acchiappargli una mosca, lei gli risponde “È meglio servire cento poveri che un ricco”. Trasferita in altri reparti, è promossa alle cure dei malati: iniezioni, assistenza. Poi viene assunta al Forlanini anche senza avere i 25 anni richiesti per lavorare in sanatorio. Un compito pericoloso a contatto coi malati di tbc. Senza un solo giorno di festa. Riesce una volta ad uscire e a contattare il viceprefetto, raccomandata dall’amica di una zia. Denuncia la direzione per le ore di riposo negate alle lavoratrici come lei. Nel colloquio l’autorità fascista si mostra incredula. “Impossibile” commenta ma poi le consiglia di fare una richiesta, raccogliendo le firme delle altre dipendenti. Queste hanno paura, allora firma solo lei. E, data l’irregolarità manifesta, ottiene una giornata al mese per sé e per le altre. Non basta, alla fine ne guadagna tre e poi ottiene anche l’indennità di rischio.
Il 25 luglio 1943 tutto il suo reparto festeggia la caduta di Mussolini e lei insieme ai malati. Le suore sono in subbuglio, la accusano di quei disordini, di non aver vigilato, ma lei trova le scuse giuste. E soprattutto ha una professionalità ineccepibile.
Dopo l’8 settembre iniziano i primi contatti con i partigiani a Canebola. È insieme alla compagna di lavoro e amica Jole De Cillia, “Paola” (medaglia d’argento al Valor Militare alla memoria) quando sottrae medicinali all’ospedale per consegnarli ai partigiani. Nel frattempo si è sparsa la voce che in ospedale i tedeschi indagano su certe infermiere. Fidalma capisce di essere sospettata e decide di salire in montagna assieme all’amica Paola. E’ il 10 ottobre 1943. Arrivate a Canebola vengono sospettate di essere delle spie e per 15 giorni sono guardate a vista finché non giungono le informazioni dal comando.
Le viene affibbiato un nome di battaglia sgraziato, “Damigiana”, per i pantaloni più grandi della sua misura che le arrivavano quasi fino al collo. Più tardi sarà “Gianna”. Comincia per le due ragazze la vita dura, dapprima addette ai lavori domestici. Dopo un po’ lei si ribella “Siamo venute qui per servire? Non siamo venute in montagna per questo. Vogliamo fare quello che fanno gli uomini”. I compagni si convincono. Ora fanno le guardie di notte e di giorno e nelle ore libere si occupano dei feriti in paese. Trasportano anche viveri e messaggi. Assieme a “Paola” partecipa al corso per commissario politico, quei dirigenti di partito che in tutte le formazioni partigiane affiancano – quasi alla pari – i comandanti militari.
Poi i rastrellamenti germanici: il trasferimento dei feriti, i rifugi improvvisati, i ricoveri negli ospedali tramite medici collaborativi. Scande in pianura ed entra nei Gap, ha l’incarico di portare armi. Non è cosa da poco portare un cordone di miccia avvolto intorno al corpo e sedersi all’osteria in attesa dell’appuntamento con uno sconosciuto, magari alla presenza di fascisti e tedeschi. La solidarietà arriva da gente impensata, come quella signora Amelia tenutaria del bordello di Borgo Villalta che la salva mentre i tedeschi hanno bloccato la strada e lei ha con sé una bomba.
Mentre la compagna Paola si occupa di scrivere e diffondere la stampa clandestina, Gianna inizia tra le donne di paese l’opera di sensibilizzazione all’antifascismo e di aiuto alla lotta partigiana. La sua zona è quella di Avasinis, Alesso, Somplago, Bordano e Cornino, contribuisce quindi concretamente alla nascita dei Gruppi di difesa della Donna in Friuli.
Ricercata dalle SS, “Gianna” torna sui monti. Sorpresa dai tedeschi mentre riposa in una baita, si salva rotolandosi per un pendio tra il fischiare delle pallottole. Ma non desiste e vive l’esaltante epopea della Zona libera della Carnia, partecipando alle riunioni della Giunta di Governo come rappresentante dei Gruppi di Difesa della Donna.
Sopravvive ai rastrellamenti dei cosacchi collaborazionisti, e dopo aver trascorso l’inverno del 1944 in un bunker con Mario Lizzero “Andrea”, medaglia d’argento al Valor Militare e suo futuro marito, ed altri compagni, riprende in primavera il lavoro per riannodare i fili dell’organizzazione partigiana, fino a che non giunge il giorno della liberazione di Udine. Quel giorno il trionfo è inquinato dalla tristezza. Un dolore acuto per i compagni caduti: anche Paola è morta sparando fino all’ultimo colpo.
Per il contributo dato alla Resistenza riceve due croci al merito e il grado di comandante. La sua lunga storia è ancora costellata di difficoltà, in un dopoguerra in cui il vento ha cambiato direzione nei confronti della Resistenza. La situazione si fa sempre più dura, soprattutto quando il marito viene inviato a Venezia a dirigere la Federazione del PCI. Siccome la paga di funzionario è pochissima, Gianna si rimbocca le maniche e trova impiego all’INAM. Anche qui, per lei proprio perché era stata partigiana, perché comunista ed iscritta alla CGIL, subisce prepotenze di ogni tipo, e addirittura un trasferimento nella sede di San Donà di Piave, che deve raggiungere ogni mattina in treno, lasciando i figli ad alcune donne che l’aiutano. Una vita fatta di povertà e tanti sacrifici e tanti traslochi in varie case abitate da più famiglie.
Nonostante i patimenti, la sua passione per la politica e l’impegno sociale non vennero mai meno, oltre che nell’ANPI, fu attiva “nella Sezione Gramsci del PCI udinese, nel consiglio della Circoscrizione Udine Centro, con la vendita de “l’Unità” per le case del quartiere la domenica; e poi nel Comitato per la difesa della Costituzione, che dirigeva con determinazione, nell’ANPI dove condusse la sua battaglia affinché alle donne della Resistenza fossero riconosciuti i meriti che a loro competevano; nell’organizzazione ogni 24 aprile della manifestazione in onore dei Caduti del quartiere dove abitava.
Muore a Udine il 10 dicembre 2010, le sue ultime parole sono “Mi raccomando, al Congresso parlate della scuola, perché i giovani devono capire, devono sapere cos’era la Resistenza”. A lei è stata intitolata la Sezione ANPI della Città di Udine.
Archivi Comitato Provinciale ANPI Udine
Istituto Friulano di Storia per il Movimento di Liberazione
Siti internet
Partigiani d'Italia - Fidalma Garosi
Quella di “Gianna” Garosi Lizzero? La storia per un bel film
La sede dell'Anpi di Udine dedicata alla partigiana Gianna Lizzero, la cerimonia - Udine Today
Ritratto di Fidalma Garosi “Gianna” - media archive FVG
Fidalma Garosi “Gianna” - media archive FVG
Ritratto – Garosi, Fidalma “Gianna” - media archive FVG
Libri e pubblicazioni
Flavio Fabbroni “Donne e ragazze nella Resistenza in Friuli” Quaderni dell’ANPI FVG n. 15, Ed. ANPI FVG 2012
Flavio Fabbroni “Storia di Gianna, raccontata da Fidalma Garosi Lizzero”, Publicoop Editore 2007
Materiali audio video
Carnia 1944. Un’estate di libertà (docufilm sulla Repubblica Libera della Carnia)
Referenze iconografiche
Archivio fotografico e documentale ANPI Udine
Archivio fotografico e documentale IFSML Udine
Voce pubblicata nel: 2025
Ultimo aggiornamento: 2025