Mnesarete, conosciuta come Frine, nacque a Tespie in Beozia intorno al 371 a.C. Il padre di lei è detto Epicle1 in un frammento dello storiografo macedone Alceta il Periegeta. Questi nomi suggeriscono un’origine sicuramente libera, probabilmente nobile.
La famiglia dovette rifugiarsi ad Atene in seguito alla distruzione della sua città da parte dei Tebani guidati da Epaminonda nella Battaglia di Leuttra (371 ca a.C.).

Le notizie relative al periodo di vita ateniese della giovane Frine sono scarse ma, grazie ad alcuni brevissimi accenni del commediografo Timocle, possiamo affermare che visse in povertà, riuscendo a sopravvivere grazie alla raccolta e alla vendita dei capperi. Il rovescio di fortuna della famiglia di Mnesarete è spiegabile con la presa della città di Tespie menzionata in precedenza.

Disgraziato me, ero l’amante di Frine nel periodo in cui racimolava capperi, e non aveva ancora il suo patrimonio attuale. E, nonostante tutto il denaro che ho speso per lei, la sua porta mi è oramai proibita.2

Con lei, cresceva di giorno in giorno anche la sua bellezza, che ben presto la rese famosa tra gli uomini ateniesi, ammaliati dal suo fascino al punto da far a gara per godere della sua compagnia. Ricevette dal suo prosseneta un’educazione completa sia dal punto di vista intellettuale che dal punto di vista pratico: educazione mirata a fare di lei una cortigiana “quotata” sul mercato di Atene, ma non solo.

Va sottolineato che le cortigiane greche avevano un’istruzione più completa di quella impartita alle donne libere, e potevano gestire i loro guadagni ed organizzare in modo indipendente la propria vita. Le etere, infatti, potevano uscire di casa a loro piacimento, senza accompagnatori maschili, da sole o con altre etere, cosa assolutamente preclusa alle donne greche, che erano confinate nei ginecei, senza alcuna possibilità di incontrare uomini estranei alla famiglia. Le etere erano altresì libere di indossare tuniche vistose e con frange (un modo per attirare l’attenzione degli uomini).
A differenza delle donne greche cui era imposto il silenzio, erano libere di parlare pubblicamente ed esprimere i loro giudizi di fronte a tutti. E potevano decidere, come nel caso di Frine, di posare per pittori e scultori — di cui spesso diventavano amanti — e di scegliere liberamente con chi accompagnarsi nei banchetti. La scelta andava frequentemente verso gli uomini più ricchi, per trarne il maggior vantaggio economico possibile. A questo punto, va sottolineato che questa situazione di privilegio e di autonomia personale aveva una durata limitata nel tempo: con il passare degli anni la loro bellezza sfioriva ed è proprio per assicurarsi, da sole, una vita futura agiata che molte di loro, già in giovane età, si inserivano nel mondo economico. Questa era un’ulteriore differenza rispetto alle donne libere greche.

I Greci davano a queste cortigiane, eleganti nei modi, il nome di “etere” (ovvero “compagne”), dimostrazione di quanto fosse importante il loro ruolo nella società antica. Frine era presente a tutti i banchetti organizzati dagli uomini più famosi e raffinati dell’epoca.
Il suo nome, Mnesarete, “colei che si ricorda della virtù”, nel significato certamente contrastava con la sua professione. Così le verrà dato, pare da Timocle, il soprannome di Frine, “ranocchia/rospo”, per via del colorito ambrato del viso.

In breve tempo Frine diviene ricchissima.
Divenne molto famosa non solo per la sua bellezza, ma per i suoi atteggiamenti provocatori. Per lasciare testimonianza al mondo della sua gloria, farà da modella per alcune statue di Prassitele, scultore di cui lei era stata un tempo l’etera.

Tra queste la statua “Afrodite Cnidia” (circa 360 a.c.) fece scalpore: si tratta della prima dea ritratta nuda nella Storia dell’arte.
Alcuni studiosi ritengono che Prassitele, per il viso della dea, abbia preso ispirazione dal viso di Cratine, un’altra sua etera, e per il corpo invece da Frine. Ma c’è anche chi sostiene che Cratine sia, in realtà, una distorsione del nome Frine.

Un’altra di queste statue verrà collocata per volere di Frine stessa a Delfi tra le statue dei re macedoni e Spartani davanti al tempio di Apollo Pizio. Un gesto scandaloso, considerando che non era in uso erigere statue di cortigiane, tanto meno in luoghi sacri. La Frine scolpita si ergeva baldanzosamente “in piedi, tutta d’oro, insieme con re e regine”.3
È la statua dell’intemperanza greca” sentenzierà il filosofo Cratete (o, in altre fonti, Diogene il Cinico).

La statua si trovava tra quella di Archidamo, re di Sparta (tradizionale nemica dei Beoti) e quella di Filippo II di Macedonia, come una sorta di una provocazione politica: Frine risultava legata ai circoli antimacedoni ateniesi, come dimostra la vicinanza all’oratore Iperide, avversario dichiarato della politica imperialista di Filippo e della potenza macedone.

Frine si rese protagonista di un ulteriore scandalo. Quando Tebe venne rasa al suolo da Alessandro Magno lei, che era ricchissima, si offrì di ricostruirla a proprie spese a patto che sulle mura della città fosse incisa una frase che recitava più o meno così: “Alessandro ha distrutto Tebe. La prostituta Frine l’ha ricostruita”.
Sapeva perfettamente che era inconcepibile che venisse inciso il nome di una prostituta su edifici pubblici.

Ma sarà l’accusa di empietà rivolta a lei da un ateniese, Eutia, a darle ulteriore fama. Sottoposta a processo per non aver rispettato le divinità e soprattutto per aver introdotto, corrompendo così giovani ateniesi, un nuovo culto religioso di Isodaite, Frine, che rischiava la condanna a morte, venne difesa dall’oratore Iperide, suo amante.
Dopo aver cercato, con difficoltà, di convincere della sua innocenza i giudici, l’oratore ricorse ad un espediente che fece scalpore. Denudò Frine davanti a tutti gli Eliasti4, che, nel vedere la perfezione e la grazia del suo corpo, ammutolirono di fronte a tanta bellezza.
Venne assolta dall’accusa di empietà perché un corpo così splendido era la dimostrazione stessa del marchio della divinità. La bellezza infatti non può mentire! “Le belle donne hanno sempre ragione” recita ancora oggi un proverbio piemontese.5

Non si hanno notizie certe sulla sua morte, che avvenne intorno al 315 a.C. Il commediografo Posidippo del III sec a.C. la definì “l’etera di gran lunga più celebre”.
La fama di Frine non morì con lei: la Storia, la letteratura e l’arte non l’hanno dimenticata. La sua vita ispirò alcune pellicole cinematografiche: Alessandro Blasetti nel 1952 nel film Altri tempi le dedicò un episodio intitolato “Il processo di Frine" tratto da un racconto di Edoardo Scarfoglio, con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida.

Note


1 Il nome è riportato nell’epigrafe alla base della statua di Frine a Delfi, che recita “Frine, figlia di Epicle, tespiese”.
2 Timocle Neera, in Ateneo XII,567.
3 Da Plutarco, Dialogo sull’amore.
4 I giudici che componevano il tribunale penale di Atene.
5 Traduzione di “Le bele fomne a l'an sempre rason”.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Frine (Mnesarete)

Catherine Salles, I bassifondi dell’antichità, Bur Rizzoli, 1984.
Giorgio P. Panini, Il grande libro della Grecia. Da Omero ad Alessandro, Mondadori, 1987.

Arte nella Storia (vol. 1, La Grecia Classica), a cura di C. Bertelli, G. Briganti, A. Giuliano, Electa - B. Mondadori, 1997.

Ἐλληνικά. Letteratura testi cultura greca (vol. 2B, l’Età classica), a cura di R. Rossi, U. C. Gallici, G. Vallarino, M. Fadda, A. Porcelli, Paravia, 2005.

Eleonora Cavallini, Esibizionismo o propaganda politica? Frine tra storia e aneddotica, in «Donne che contano nella storia greca», a cura di U. Bultrighini ed E. Di Mauro, Carabba, 2014.

Vittoria Longoni, C'era in Atene una bella donna, enciclopediadelledonne.it, 2019.


Voce pubblicata nel: 2025