Io che ho scelto tutto nella mia vita voglio scegliere anche come morire.
Iolanda Cristina Gigliotti nasce in Egitto da genitori italiani di origini calabresi. È la terza di tre figli in una famiglia segnata da un’identità divisa tra lingue e culture: italiana in casa, francese a scuola, araba per le strade. Cresce nel quartiere cosmopolita di Choubrah, un sobborgo del Cairo, dove convivono lingue, religioni e classi sociali diverse.
Il padre, Pietro Gigliotti, è primo violino all’Opéra du Caire, figura centrale e carismatica dell’infanzia di Iolanda. “Lo spiavo dietro le quinte durante le prove”, ricorderà più tardi. E sarà proprio in quelle sale e dietro quei sipari che Iolanda Cristina Gigliotti inizierà a immaginare il proprio destino: “sarebbe stato lo spettacolo, la scena, la voglia di riuscire”.
La guerra interrompe ogni equilibrio. Come molti immigrati italiani residenti in Egitto, Pietro Gigliotti viene internato dalle truppe britanniche nel campo di prigionia di Fayed, nel deserto vicino al Cairo. Quando fa ritorno, nel 1944, Gigliotti non è più l’uomo che la famiglia ricordava. Segnato nel corpo e nell’animo, soffre di violenti mal di testa, esplosioni di collera e rabbia. Morirà l’anno dopo, a soli 41 anni, per un ictus. La sua assenza segna la giovinezza di Iolanda tanto quanto il suo ritorno, un evento che sarà al centro di una delle sue canzoni più autobiografiche, Il y a toujours une chanson:
Quell’anno c’era la guerra In stazione sul binario, piangendo Quando mio padre baciò mia madre Ero ancora solo una bambina Un’età in cui non capisciE cantammo quell’annoE cantammo quell’annoC’è sempre una canzoneAggrappata ai nostri ricordi
L’ombra lunga del padre e l’energia febbrile dell’adolescenza accompagnano Iolanda verso l’idea di un futuro sul palco. Partecipa a concorsi di bellezza, frequenta corsi di recitazione prendendo parte ad alcuni film al Cairo. “Ero fan di Rita Hayworth, volevo diventare attrice come lei”, dirà anni dopo, quando la fama l’avrà trasformata nella diva iconica della scena francese. Il cinema è il sogno dichiarato, ma sarà la musica – inattesa, quasi fortuita – a offrirle un destino.
Poco più che ventenne, nel 1954, spinta dal sogno del cinema, parte per Parigi, abitando provvisoriamente in rue Ponthieu. Lì, inizia una trasformazione radicale: il nome d’arte – ispirandosi al film Sansone e Dalila, adotta il nome d’arte Dalila, che viene poi corretto in Dalida su consiglio del produttore Fred Machard –, la voce scolpita, la presenza scenica. Iolanda Cristina Gigliotti diventa Dalida.
Il 1956 è l’anno della svolta: incide il primo vinile con Madona (adattamento francese di Barco negro di Amália Rodrigues), e poco dopo Bambino, traduzione della canzone napoletana Guaglione. In Francia diventa “Madame Bambino”. Sostenuta dalla Radio Europe 1 e dal direttore artistico Lucien Morisse – che sposerà nel 1961, separandosi poco tempo dopo – Dalida si impone come una delle figure più riconoscibili della scena musicale francese in continuità con dive del passato come Édith Piaf, della quale interpreta alcuni dei più celebri brani, come Milord e La vie en rose. Sarà proprio Dalida, negli anni successivi alla scomparsa di Piaf, a far rivivere l’Olympia con la stessa intensità e centralità, rendendolo nuovamente uno dei luoghi simbolo della chanson tra gli anni Sessanta e Ottanta.
La sua è una carriera costruita su un lavoro instancabile: tournée, prove, apparizioni, promozione. Vince premi prestigiosi, tra cui l’Oscar della canzone con Charles Aznavour nel 1961, e nel 1964 è la prima donna a ricevere un disco di platino per aver venduto oltre 10 milioni di dischi. Nello stesso anno canta oltre duemila brani durante il Tour de France, seguendolo tappa dopo tappa.
La sua partecipazione al Festival di Sanremo nel 1967 con Ciao amore, ciao, in coppia con Luigi Tenco, conosciuto poco tempo prima a Roma, rappresenta un altro momento di svolta che riguarderà la sua carriera e la sua vita privata. I due condividono una relazione sentimentale intensa e segnata da fragilità reciproche. La situazione precipita dopo la notte del 26 gennaio con l’eliminazione della canzone dal Festival, quando Luigi Tenco viene trovato senza vita nella stanza dell’hotel Savoy.
Dalida rientra a Parigi e, un mese dopo, tenta il suicidio in una camera d’albergo del Prince de Galles. Sopravvissuta perché trovata da una cameriera dell’hotel, trascorrerà un lungo periodo di convalescenza e silenzio. Da allora il suo sguardo sul mondo e sulla scena cambia: l’artista che ritorna sul palco non è più soltanto una diva e una voce. È una donna attraversata dalla perdita, capace di cantare le fragilità e affrontare anche tematiche difficili per l’epoca con una forza nuova. Recita in film, come Ménage all’italiana e Io ti amo, e affronta temi come desiderio femminile, abbandono, depressione, differenza d’età nei rapporti, solitudine. La sua interpretazione di Il venait d’avoir 18 ans nel 1973 ne è un esempio emblematico: ispirata al racconto di Colette, Il grano in erba, la canzone, che narra l’incontro erotico tra una donna adulta e un ragazzo, si rivela un manifesto di un’idea diversa di femminilità pubblica: indipendente, vulnerabile, internazionale.
Abita ormai da una decina d’anni nel cuore di Montmartre, all’11 bis, rue d’Orchampt, in una casa che è insieme rifugio e teatro della sua vita privata in solitudine. Passeggia spesso per le strade del quartiere ed è solita cenare al ristorante Au Moulin de la Galette, in rue Lepic. Le stagioni passano e lei continua a incidere canzoni inanellando successi in Francia e all’estero. Ormai, è la diva consacrata con la corona d’alloro della musica.
Nella notte tra il 2 e il 3 maggio del 1987 pone fine alla sua vita e questa volta nel silenzio e nella solitudine, lei che cantava “Voglio morire in scena, è lì che sono nata”. Accanto al corpo, solamente un biglietto “Perdonatemi, la vita mi è divenuta insopportabile”.
Brunel, Philippe; trad. Giuditta Vulpius, Ciao amore. Tenco e Dalida, la notte di Sanremo, Rizzoli, collana Di tutto di più, 2012. Di Corcia, Tony (a cura di), Dalida. Andarsene sognando, Edizioni Clichy, 2021.
Morretta, Mattia, Viva Dalida. Icona immortale, Gruppo Editoriale Viator, 2017.
Preta, Titti, Cercando Yolanda. Vita in controluce di Dalida «la Calabrese di Parigi», Meligrana Editore, 2023.
Rai, Dalida [documentario], direzione Lisa Azuelos, Francia/Italia/Marocco 2016, distribuito su RaiPlay.
Voce pubblicata nel: 2025
Ultimo aggiornamento: 2025