Madeleine Vionnet è stata a lungo dimenticata dal pubblico, ma mai dai grandi sarti e stilisti di moda, che ne hanno sempre apprezzato la lungimiranza, le capacità innovative, la ferma volontà di creare una limpida coerenza tra abito e corpo femminile. Il suo nome resta legato all’alta moda parigina tra le due guerre mondiali, quando seppe distinguersi non solo come rinnovatrice delle tecniche sartoriali ma anche come imprenditrice illuminata, attenta alle esigenze e alle necessità delle dipendenti.
Nacque in una famiglia di modeste condizioni. La madre, Rosalie Henriette Gardembois, abbandonò presto la famiglia. Madeleine aveva solo tre anni e mezzo. Crebbe quindi sola con il padre, Abel Vionnet. Su consiglio del padre, all’età di dieci anni lasciò la scuola e iniziò a lavorare come sarta in una maison de couture della cintura periferica parigina. Una deroga speciale della scuola le aveva permesso di sostenere l’esame finale un anno prima del previsto.
Un matrimonio precoce e infelice – Madeleine aveva solo diciotto anni – e il dramma per la morte della figlioletta costituirono tappe importanti e dolorose del suo cammino iniziale. È probabile che proprio la morte prematura della figlia abbia contribuito alla crisi del matrimonio con Émile Depoutot, culminata nel divorzio del 1897, appena tre anni dopo le nozze.
A vent’anni si trasferì a Londra e, per un periodo, lavorò nel laboratorio di sartoria della stilista Kate Reilly, dove vestì le donne dell'aristocrazia inglese, ispirandosi ai modelli parigini. Già nel 1901, però, era di ritorno a Parigi, dove cominciò il suo vero percorso nel mondo dell’alta moda. Divenne première (ossia la figura strategica nella traduzione di un capo dal disegno su carta al modello in tela) per la maison delle Sorelle Callot, che per Madeleine furono solidi esempi di capacità sartoriali. In particolare a una delle tre sorelle Callot, Madame Gerber, Vionnet dirà di dovere tutto il suo successo. 1 Nel 1907 cominciò a lavorare per lo stilista Jacques Doucet, considerato, insieme a Worth e alle sopraccitate sorelle Callot, uno dei padri della moda francese.
Incoraggiata dal successo ottenuto con le clienti e con alcuni risparmi e un prestito, riuscì a fondare la propria casa di moda nel 1912, all'età di trentasei anni. L’atelier ebbe breve vita: nel 1914, a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale, fu costretta a chiudere. Ci riprovò una seconda volta al termine del conflitto, riaprendo la maison nel 1923. In questo caso, le cose andarono meglio, anche grazie al sostegno di investitori locali, soprattutto Émile Akar e Marguerite (detta May) Becker: arrivarono il successo, la fama e il nome della sua maison conquistò i vertici dell’alta moda francese. In questo periodo, Vionnet incontrò Dimitri Netchvolodoff, un ex ufficiale della marina russa, che sposò nel 1923 e al quale affidò la gestione di una calzoleria. Affascinante e molto più giovane di lei, lui finì per tradirla e lei chiese il divorzio nel 1943.
Madeleine ebbe sempre accanto numerosi collaboratori e collaboratrici, in primo luogo, fin dal 1912, Marcelle Chaumont Chapsal, suo fedele braccio destro che, quando la sua nuova maison riuscì a ingrandirsi e vennero organizzate più divisioni, divenne sua socia. Dal 1938 fu a capo di fatto di metà dei laboratori. Marcelle fu sarta anche per Jeanne Lanvin, altra grande designer francese di alta moda. Chaumont e Vionnet furono legate anche da una sincera amicizia, tanto che la figlia di Marcelle, Madeleine Chapsal, prese il nome proprio da Vionnet, che fu la sua madrina. Chapsal fu poi scrittrice, e scrisse anche della madrina. 2
Nell’arco di una decina di anni Madeleine Vionnet si trovò a capo di un’azienda con più di mille dipendenti, tra fattorini, sarte e sarti, tagliatrici, addette alle vendite, direttrici. Un’azienda quasi completamente al femminile, con 20 atelier distribuiti su cinque piani di un edificio nel cuore di Parigi, nel quale erano organizzati la mensa, lo studio odontoiatrico e l’infermeria per le dipendenti che godevano delle ferie pagate, dei congedi per malattia o per maternità, di un bonus per ogni neonato/a, sia che fossero dichiarati legittimi o illegittimi. Le operaie, nell’esercizio delle loro mansioni, sedevano su sedie provviste di schienale per riposare la schiena, non più costrette su precari e scomodi sgabelli, lavoravano in ambienti salubri, ben areati e pieni di luce naturale garantita dalla presenza di grandi e ampie finestre: «In questo alveare gigantesco che è il mio atelier, ogni ape dev’essere in grado di eseguire alla perfezione il compito che le si affida, e che in ogni caso è la sua specialità».
La visione della moda secondo Vionnet prevedeva l’abolizione dei busti e il corpo libero da costrizioni, l’abito coerente con l’anatomia femminile. Le modelle, cui spettava il compito di presentare al pubblico i capi realizzati, sfilavano non indossando il corsetto e, dicono testimoni dell’epoca, camminando a piedi nudi. «Esaltare la donna e in ciascuno dei suoi abiti comporre una sorta di poema in sé compiuto».
Per questi “poemi” Vionnet si ispirò, sembra dopo un soggiorno a Roma, al peplo dell’antica Grecia in cui la stoffa, individuati alcuni punti di appoggio (vita e spalle), cadeva morbida arricchita da panneggi. Tradusse la suggestione della classicità in un linguaggio moderno, adatto alle donne del XX secolo, in cui il taglio sbieco e una sapiente conoscenza dei tessuti portava a soluzioni innovative. Le sue erano creazioni destrutturate composte non tanto partendo da schizzi e disegni su carta, quanto drappeggiando i tessuti su un manichino di 80 cm, cercando con numerose prove l’andamento delle stoffe, la giusta caduta e lo sviluppo delle pieghe, i punti di appoggio sul corpo in modo che l’abito fosse fermato senza cuciture, pince, ganci o bottoni.
Vionnet diede minor importanza al disegno e concentrò l’attenzione e il lavoro sul tessuto, tagliato sfruttando il taglio sbieco, ossia quello realizzato lungo una diagonale a 45° rispetto al verso della trama e dell’ordito che garantiva una maggior fluidità all’abito. «Ho dimostrato ‒ ha dichiarato la stilista francese ‒ che un tessuto libero di ricadere su un corpo privo di corazze offriva uno spettacolo di armonia per eccellenza. Volevo che il tessuto avesse un equilibrio tale che con il movimento le sue linee non fossero sconvolte, ma ancora più esaltate».
Vionnet era diventata famosa proprio per il suo uso del taglio sbieco. Non si trattava di una sua invenzione, ma per le modalità e i tessuti utilizzati la scelta fu una novità assoluta, trasformandosi presto in cifra stilistica. La ricerca costante della stilista sulle stoffe spinse gli imprenditori del settore e i fornitori a ricercare e saggiare nuove strade, ampliando le dimensioni dei tessuti per agevolare il taglio sbieco, recuperando filati andati perduti oppure producendone di nuovi che fossero in grado di favorire le sue ideazioni.
Le creazioni dell’atelier Vionnet erano talmente innovative che negli anni Venti, al culmine del successo, quando divenne sempre più agguerrita la concorrenza e si moltiplicarono i casi di imitazione e plagio, la stilista fu costretta a correre ai ripari. Ogni capo realizzato venne numerato e catalogato, fotografato secondo diverse angolazioni che ne permettessero la completa riconoscibilità; su ognuno fu applicata un’etichetta con la sua impronta digitale e per ogni collezione prodotta vennero realizzati album di copyright. Pensò anche a promuovere la nascita dell’Association pour la défense des arts plastiques et appliqués, cui aderirono altri stilisti francesi, per proteggere le creazioni d’alta moda da ogni forma di falsificazione, considerandole patrimonio culturale al pari di qualsiasi altra espressione d’arte.
«Se oggi ‒ confidò in un’intervista del 1937 ‒ è possibile parlare di una scuola Vionnet, è soprattutto perché mi sono dimostrata nemica della moda. Nei fugaci capricci stagionali sta un elemento di superficialità, di instabilità, che scandalizza il mio senso della bellezza».
L’azienda sartoriale di Madeleine Vionnet chiuse i battenti nel 1939, di nuovo al limitare di un conflitto mondiale. La stilista probabilmente intuì che il mondo del lusso e dell'eleganza che l'aveva resa famosa non sarebbe sopravvissuto ai cambiamenti sociali che si stavano profilando. Inoltre, il suo contratto di locazione stava per scadere ed era coinvolta da otto anni in una causa legale con uno dei suoi clienti. «E anche perché ne avevo fin sopra i capelli…» dirà a Vogue. 3 Vionnet aveva designato come sua erede ideale e artistica la socia Marcelle Chaumont, che infatti aprì l’omonima casa di moda proprio nel 1940.
Vionnet visse ancora a lungo, fino al 1975, in modo appartato così come aveva fatto anche nei momenti di massima gloria. Nel 1952 lasciò all'Union Française des Arts et du Costume un’importante donazione, con oltre 200 abiti, disegni, modelli, materiale d’archivio e parte della sua biblioteca. L’intero fondo Vionnet ora fa parte del Musée des Arts Décoratif (MAD) di Parigi.
Bruce Chatwin, What am I doing here?, Jonathan Cape, 1988 Lydia Kamitsis, Vionnet, Franco Contini Editore, Firenze 1997
Renata Molho, Vionnet Madeleine, in Guido Vergani (a cura di), Dizionario della moda, Baldini & Castoldi, Milano 1999, pp. 805-806
Jean-Marie Vionnet, Vionnet : des sabots… à la haute couture, 2004
Madeleine Chapsal, Madeleine Vionnet, ma mère et moi, Éditions J'ai lu, 2011
Joanna Zanon, The "Sleeping Beauties" of Haute Couture: Jean Patou, Elsa Schiaparelli, Madeleine Vionnet [tesi di dottorato], Università di Oslo, 2017
Aurore Barreau, Coralie Philibert, Madeleine Vionnet, architecte du tissu, 2021
Madeleine Vionnet in https://abbigliamentoneltempo.wordpress.com/portfolio/1236/
Voce pubblicata nel: 2025