Tredozio è il “piccolo solingo paesello” sull'Appennino Tosco Romagnolo dove nasce, il 2 dicembre 1851, e dove trascorrerà gran parte della sua breve esistenza, Maria Virginia Fabroni, una voce poetica femminile originale ed elegante che ha goduto di notevole fama ai suoi tempi per sprofondare poi in un immeritato oblio.

Il padre Giuseppe, un borghese benestante, è una figura autorevole in paese per il suo ruolo di amministratore delle rendite della diocesi di Modigliana, mentre la madre, Elisa Pieraccini, una donna debole e di salute malferma, si dedica esclusivamente alla cura della casa e della famiglia che, oltre a M. Virginia, la primogenita, conta altri tre figli: Beatrice, Fabio Remigio e Pier Matteo.


Poco si conosce dell'infanzia di M. Virginia fino a quando, nel 1862, undicenne, entra nel Conservatorio di S. Anna a Pisa dove è stata iscritta per studiare musica e conseguire una formazione culturale di carattere generale necessaria per ambire al matrimonio con un “buon partito”, l'unica prospettiva di vita, quella di moglie e madre, che il padre, fedele interprete della mentalità del tempo, riesce a immaginare per una giovane di buona famiglia quale lei è. Resterà a Pisa per sei anni, fino al 1868, quando, terminato il ciclo degli studi e diplomatasi in clavicembalo, ritornerà a Tredozio da dove non si allontanerà più fino alla morte.


Gli anni pisani sono anni felici, rievocati sempre nostalgicamente nelle lettere da lei inviate all'Ing. Paolo Folini, il rettore di S. Anna, un carteggio fondamentale non solo come fonte delle sue vicende biografiche, ma soprattutto per scoprire la ricchezza della vita interiore di M. Virginia, le sue riflessioni sulla vita, sull'amore, sulla poesia, e importanti aspetti della sua personalità: una salda fede religiosa, un forte spirito di indipendenza e una viva aspirazione a emanciparsi come donna dai condizionamenti familiari e sociali, e ad affermarsi come artista per una sua poetica fondata sul “vero” e sull'impegno civile.


Grazie anche ai consigli di Folini M. Virginia, dotata di una naturale predisposizione a improvvisare versi di cui dà prova nei primi anni di collegio, comincia ad affinare con adeguati studi e letture il proprio talento, per passare poi gradualmente a una maggiore consapevolezza del mestiere poetico mediante un personale approfondimento degli autori preferiti, una più accurata elaborazione metrica e stilistica, un paziente labor limae e un ampliamento dell'orizzonte tematico fino al momento in cui la poesia diventerà per lei una scelta irrevocabile.


Gli anni immediatamente successivi al suo ritorno a Tredozio, nonostante il doloroso distacco dall'ambiente e dalle amicizie pisane, anni vissuti nel rimpianto e nella solitudine, sono tuttavia, e forse proprio per questo, particolarmente fecondi per la sua creatività. Scrive a Folini: “non sono mai stata tanto disposta a scriver versi, quanto ne' miei accessi di malinconia” e gli invia “copia di quanto uscì da questo mio vulcano sempre in eruzione che i fisici (i medici) chiamano cervello”.


In paese non intrattiene relazioni se non coi membri della propria famiglia e quelli di altre famiglie benestanti, e, in uno stato d'animo molto simile a quello di Leopardi verso l'odiosamata Recanati, il “natio borgo selvaggio” e la “gente zotica e vile” che lo popola, si consuma anche il rapporto che lega M. Virginia a Tredozio: “Comprendo bene che […] mi toccherà a rimanere a Tredozio e così apprendere il linguaggio poetico de' belati delle pecore che pascono ne' miei campi […] Persone istruite,eh? E quel che è più dovrò star sempre sola?!”.


Nel 1870 il pittore macchiaiolo Silvestro Lega durante l'estate soggiorna come ospite presso l'amico di lunga data Giuseppe Fabroni e, per sdebitarsi, ne ritrae la figlia in un dipinto che è l'unica immagine rimasta di lei, forse colpito dalla dolcezza e dalla sensibilità della giovane, che anche nel nome gli ricorda la donna amata, Virginia Batelli, la cui recente scomparsa l'ha gettato in un profondo sconforto.


Anche M. Virginia vagheggia il grande amore e il matrimonio, ma su questo tema il suo atteggiamento è intransigente e non accetta compromessi. Pertanto si oppone ostinatamente a tutti i buoni partiti che il padre per motivi di convenienza e di interesse le propone, dando prova di grande fermezza e anticonformismo nel rifiutare le convenzioni sociali e nel rivendicare la propria autonomia anche di fronte a scelte sbagliate. Come nel caso del suo primo amore per un giovane che, disapprovato dal padre, la deluderà procurandole non pochi dispiaceri. Ma nelle lettere a Folini dimostra di aver saputo trarre una lezione di vita dalla dolorosa esperienza:


“...ho finito di vedere le cose dietro il velo color di rose[...] sono risolutissima di non volere mettermi al collo quella servile catena. Ad ogni modo sono tutti compagni (uguali) gli uomini di oggidì. [...] Basta! Delle croci ne ho già abbastanza...


Frustrata nelle sue aspirazioni sentimentali e matrimoniali si dedica con sempre maggiore impegno all'attività poetica che diventa per lei alternativa e quasi conflittuale con l'amore, pur presupponendo anch'essa in egual misura l'autenticità del sentimento. E la sua dedizione alla poesia viene premiata quando i suoi versi cominciano ad essere pubblicati a partire dai primi anni settanta dalla Tipografia Nistri di Pisa e nel 1877 dall'editore milanese Treves, il più prestigioso dell'epoca. Occasionalmente scrive anche racconti di contenuto edificante, gravati però da un troppo esplicito intento morale che ne compromette il risultato artistico.


Nel frattempo, nel 1875, M. Virginia, a dispetto del suo proposito di non rimanere più invischiata in affari di cuore, si innamora, ricambiata, di Federico Pezzia, un piemontese di 35 anni ufficiale dell'esercito sabaudo, e comincia a pensare seriamente al matrimonio che è ostacolato purtroppo da problemi economici. Il governo esige infatti che la sposa disponga di una rendita di duemila lire annuali, una norma il cui scopo è forse quello di garantire agli ufficiali un tenore di vita decoroso consono al loro rango. Solo che il padre non può metterle a disposizione una tale somma, tenendo conto degli obblighi verso gli altri figli, e M. Virginia non sa come procurarsela. I lunghi scambi epistolari con Folini ci rivelano il suo tormento per lo stato delle cose e anche il progressivo peggioramento delle sue condizioni di salute. Quando tutte le difficoltà sembrano risolte e la data delle nozze è già stata fissata, M. Virginia, pochi mesi prima, muore di tisi all'età di 27 anni. Gode già di una discreta fama ma in breve tempo il suo nome sprofonderà nell'oblio.


La poetica di M. Virginia è espressa lucidamente in una lettera a Folini del 1871:


Togliete quei passi dove la verità è vestita delle forme più leggiadre e i vostri versi non varranno più nulla, perché oggi vuolsi un poeta che diletti, non che dica il vero; non il filosofo ma il trovatore […] Ecco il motivo per cui fuggono dalla mia penna odi e canzonette […] Io vorrei divenire utile alla società senza tediarla con dei sermoni e perciò mi fa d'uopo d'apprendere il modo di insegnare dilettando. Forse vi riuscirò, e, per riuscirvi, convien studiare il vero, il Bello e il Buono, ed io lo studierò. Ecco quanto posso dirle riguardo al mio modo di trattare l'Arte Poetica”.


Come si vede, la poetica di M. Virginia non può definirsi rivoluzionaria, ma si sviluppa nel solco della tradizione che da Dante e Petrarca giunge fino ai suoi giorni, con particolare attenzione agli autori impegnati su tematiche civili o patriottiche, come Parini, Foscolo, Manzoni, e, più vicini a lei, Prati, Zanella e Giusti; oppure quelli il cui lirismo introspettivo riesce a cogliere le note più profonde dell'animo umano, come Tasso o Gaspara Stampa e soprattutto l'amatissimo Leopardi, “il filosofo”, in cui entrambe le tematiche si ricompongono. Nessuna particolare innovazione anche dal punto di vista metrico, essendo tra i suoi versi predominante l'endecasillabo, il verso principe della poesia italiana, raggruppato in quartine o sestine, raramente ottave, spesso alternato a settenari o quinari, come nella strofe saffica. E anche la rima non si discosta dai moduli tradizionali, con preferenza per quella alternata o baciata o la terza rima dantesca. Rari gli endecasillabi o altri versi sciolti. Eppure, pur muovendosi lungo direttrici tradizionali, M. Virginia è sempre ben lontana dalla poesia convenzionale o d'occasione, quella da lei definita del “trovatore”, ma rivela tratti originali e innovativi grazie a una sua prospettiva spiccatamente femminile. I temi da lei affrontati sono molteplici e riguardano i familiari e gli amici, la città natale e altri luoghi della memoria, la religione, la società, la politica, la letteratura, l'amore, i personaggi illustri a lei più cari del presente e del passato e anche ballate tipiche della tradizione romantica.


Nella canzone A Italia, che si rifà al modello petrarchesco e leopardiano (quest'ultimo esplicitamente citato), dopo la rievocazione della grandezza passata dell'Italia e la celebrazione di Firenze che grazie a Dante e Michelangelo ne è la capitale culturale, M. Virginia esalta, come missione del presente, il dovere patriottico di lottare contro quelle forze reazionarie che vorrebbero arrestare il processo unitario, al quale sono chiamate a partecipare anche le donne, con un appello, originale per l'epoca, a uscire dal recinto domestico per diventare protagoniste anch'esse della vita civile:

Meglio che ad ozio imbelle
le donne all'opre femminili intente
anco a severi studi
sommettano la mente.
A lor non prema aver fama di belle
ma plauso al senno e nobili virtudi.



Anche l'amore ricorre con frequenza nella poesia di M. Virginia, sempre vissuto come tormento (“Nulla dà tanti spasimi/quanti ne dà l'amor”) amore che, se frustrato e inappagato, può sublimarsi nell'arte. Un giorno, mentre è in compagnia di una cugina, assiste all'apertura di una lettera del fidanzato di lei che, tra le altre cose, chiede: “E la poetessa Fabroni che fa? Scrive? Ama?” La “poetessa Fabroni” risponde con una splendida poesia, Scrive e non ama, in cui rivendica con orgoglio la propria scelta :


Non c'è nulla di vero
in questo sonno che si chiama vita
i sogni del pensiero
sono sconforto e vanità infinita.
Ella scrive ed oblia
molto: oblia quasi tutto in seno all'arte;
il fior che manca nella scabra via
lo fa spuntar sopra l'aride carte.



Eppure la speranza di un vero grande amore è sempre risorgente in cuor suo anche solo come fantasia o illusione. Nella poesia Cinque Dicembre 1873 (forse il giorno in cui fu scritta) M. Virginia è assalita dai ricordi lieti del passato che contrastano con la fredda stagione presente e dal presentimento che non ci sarà più per lei un futuro felice. Tuttavia un barlume di speranza sembra affacciarsi per un attimo al pensiero che la primavera ritornerà ed è consolatorio fantasticare che tutto non sia ancora definitivamente perduto:


La neve sciogliersi vedrò sul monte,
Ai molli zefiri di primavera,
Che carezzandomi il crin, la fronte,
In dolce mormoro diranno: spera!
Tornate o rondini, vaghe amorose,
Vestite, o colli, i gai colori;
Se siete simboli di liete cose,
Tornate, o fiori, tornate, o fiori!



Che la delusione amorosa possa mutarsi in impulso di morte è il tema di una straordinaria poesia, Saffo allo scoglio, che riprende il mito romantico del suicidio di Saffo abbandonata dal bellissimo Faone. M. Virginia osa cimentarsi con L'ultimo canto di Saffo di Leopardi, e pur cedendo al modello quanto a sapienza compositiva ed eleganza stilistica, non è certamente inferiore per intensità di sentimento. La Saffo filosofa di Leopardi lascia il posto in M. Virginia a una Saffo donna, passionale e irruente, nella quale il dramma del tradimento e dell'abbandono si risolve in versi rabbiosi e vendicativi:


A Faon, che di grate
menzogne mi nudrìa
e ai siculi giardini indi fuggìa,
inferni Dei, mandate
dal pauroso Dite
le furie anguicrinite:
e con orrendi mali,
e con tormenti non uditi e novi
s'unqua ascoltaste un prego de' mortali,
lasciate, o Dei, che quel ch'io soffro ei provi.



E la natura, “matrigna” in Leopardi, viene qui invocata come amica e testimone della sua sventura: O terra! O mare! O stelle!.../Con la voce immortale/voi la mia morte narrerete al mondo.


Fanno compagnia a Saffo altre due figure femminili vittime dello stesso destino di amore e morte: Cleopatra (Cleopatra) e Gaspara Stampa (Gaspara Stampa- l'ultimo addio) che fu celebrata dall'umanista Benedetto Varchi quale “Saffo de' nostri giorni”, sospettata di suicidio, secondo una falsa tradizione romantica, per essere stata tradita e abbandonata dall'amante Collaltino di Collalto.


Anche se non è chiaro il motivo, certamente è deplorevole che la poesia di M. Virginia Fabroni sia caduta nel dimenticatoio per così lungo tempo. Recentemente, a cominciare dal 2018, 140° anniversario della morte, la città natale, Tredozio, si è impegnata a recuperarne la memoria con alcune lodevoli iniziative, come quella di tenere lezioni e recite pubbliche delle sue poesie e un premio di poesia annuale, giunto oggi alla nona edizione che riscontra una partecipazione sempre crescente.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Virginia Fabroni

Fabroni M.V., Ricordo, Tipografia Nistri, Pisa, 1869 (Internet Archive: https://archive.org/details/bub_gb_sArV1DvhRwkC/page/n3/mode/2up)

Fabroni M. V., Versi, Tipografia Nistri, Pisa 1874 e 1877

Fabroni M. V., Prose e Poesie, Stamperia Novelli, Faenza, 1874

Fabroni M. V., Bozzetti Famigliari, Treves, Milano, 1877

Fabroni M. V., Poesie Inedite e Postume, Stabilimento Tipografico Cappelli, Rocca S. Casciano, 1880

Fabroni M. V., Poesie scelte, Tempo al Libro, Faenza, 2019

Carteggio Fabroni- Folini in Fondo Piancastelli [CR 572], Biblioteca Comunale A. Saffi, Forlì

Continelli A. M., Silvestro Lega e Modigliana, pag. 329, in Silvestro Lega i Macchiaioli e il Quattrocento, Silvana Editoriale, Milano, 2007

Sangiorgi A., Inavvertita, languida viola: vita e poetica di Maria Virginia Fabroni, tesi di laurea, Università di Bologna, 2022. Consultabile presso Biblioteca Comunale “A, Saffi” Forlì. Al momento risulta essere il più completo studio critico su M.V. F. (n. d. a.: Sangiorgi Alessio non ha alcun legame di parentela con l'autore della presente biografia)

Varchi B., Sonetto in morte di Gaspara, in Gaspara Stampa, Rime, Rizzoli, Milano 1976, pag.57

Link a una mostra di Silvestro Lega a Viareggio presso Casa Matteucci, 2015. Dal minuto 7.30 presentazione e commento del ritratto di M. Virginia Fabroni:
https://www.youtube.com/watch?v=GEd43XEroB4&t=104s.



Voce pubblicata nel: 2025

Ultimo aggiornamento: 2025