"Io sono già 40 giorni di prigionia ed è indescrivibile quello che ho passato, torturata a sangue, ma ho sempre negato, e ormai ero convinta di morire, quando una sera fui chiamata all’Ufficio Politico e alla presenza di “Lince” e altri quattro di questi briganti e carnefici, incominciai il sesto interrogatorio; io continuavo a mentire e Lince insiste a forza per farmi parlare: 'Solo lei conosce quella gente; all’infuori di Carmen nessuno può consegnare il comitato'!

Io morivo dall’angoscia: trovarmi per la prima volta di fronte a un compagno capace di tanto.

Mi vengono messe le catene in testa, ciò che nessun essere umano lo può sopportare; e io continuo a dire: 'Fucilatemi io non so niente'. Non impietositi, ma stanchi di torturami - erano già le tre del mattino e l’interrogatorio era iniziato alle ore dieci della sera - così finì e per tre giorni mi lasciarono in pace finché la febbre mi saliva da 39°a 40°.

“Max” ha fatto il nome di “Piero”, “Alga”, “Nino” e “Grandi”. Io, costretta a confessare di averli visti, ma non sapevo chi erano, giù battistero con la speranza che una volta logorata ed esausta mi decidessi a parlare.

Ora sarò processata definitivamente. Io spero di cavarmela o con le carceri o in Germania; ovunque sia, sono e sarò sempre una compagna".

Noris Guizzo nasce il 1 maggio 1918 a Selva del Montello (Treviso).

I genitori Antonio e Adele gestiscono un’osteria. Nel 1930 il padre muore prematuramente. La madre per mantenere la numerosa prole - otto figli: sei femmine e due maschi - inizialmente si occupa del forno di famiglia e successivamente apre una piccola rivendita di stoffe che ben presto è costretta a chiudere. Noris contribuisce al bilancio familiare andando a servizio presso alcune famiglie benestanti della zona. Sono poche le fonti conosciute che riguardano la sua vita; unico fatto certo è che nei primi anni ’40, Noris emigra in cerca di lavoro a Torino, dove già vivevano un fratello e una sorella. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 diventa staffetta partigiana in Piemonte e in Valle d’Aosta per le Brigate Matteotti per tutto l’inverno 1943-44 con il nome di battaglia "Carmen". Tornata a Selva nella primavera del 1944 decide di entrare nella resistenza locale diventando staffetta della Brigata Mazzini con il compito di tenere i collegamenti tra il CNL (Comitato Nazionale di Liberazione) di Treviso e i partigiani stanziati nel territorio pedemontano compreso tra il Cansiglio e la Valdobiadene.

L’esperienza fatta nella resistenza piemontese le permette di partecipare quasi subito ad azioni di sabotaggio alla rete viaria e ferroviaria con gli uomini del gruppo guidati da Francesco Sabatucci (il comandante Cirillo) con il quale stabilisce un forte legame sentimentale.

Il 16 giugno si unisce alla Brigata garibaldina Pisacane in un’importante azione che porta alla liberazione dal carcere di Baldernich di Belluno di 70 detenuti politici.

“Era brava, proprio brava la Carmen… - riferisce un suo compagno di Brigata- era sempre con noi. Cirillo le dava ordini e lei si muoveva, non aveva paura di niente!”

Il suo coraggio la spinge a partecipare ad attacchi ai reparti fascisti e tedeschi; rimane ferita nella furiosa battaglia di Solighetto nell’agosto del ‘44.

Nel settembre durante i giorni dei sanguinosi scontri tra tedeschi e partigiani sul Cansiglio è lei che in quell’inferno porta ai compagni un’ultima speranza: gli Alleati avevano comunicato al Comando partigiano che avrebbero effettuato degli aviolanci di rifornimento

Questi episodi dimostrano come Carmen metta eroicamente a rischio la propria vita per portare ordini e tenere i collegamenti tra il comandante Cirillo e i suoi uomini.

Alla fine di ottobre Cirillo, per le sue capacità militari è nominato responsabile della Squadra di Azione Patriottica di Padova con il compito di riorganizzare le brigate partigiane operanti nel Veneto e da allora Carmen inizia a tenere i rapporti per suo conto tra i CNL di Treviso e di Padova. Viene arrestata il 18 novembre, mentre era in missione a Treviso, tradita da un ex compagno della brigata Mazzini, conosciuto durante i drammatici giorni del Cansiglio, passato poi alle Brigate Nere per evitare la fucilazione. Rinchiusa prima nella prigione della Federazione fascista della città e poi trasferita nel gennaio del 1945 a Padova in una cella di Palazzo Giusti viene sottoposta a terribili torture, al punto da essere ridotta in fin di vita, senza però mai rivelare i nomi degli altri membri della sua Brigata. Nel tentativo di vanificare la sua resistenza i suoi aguzzini alle violenze fisiche aggiunsero quelle psicologiche rivelandole brutalmente la morte di Cirillo.

In una lettera che Carmen riesce a fare uscire clandestinamente dal Carcere rassicura i suoi compagni della sua ferma volontà di non denunciare nessuno, di rimanere coerente ai propri ideali: "Ovunque sia, sono e sarò sempre una compagna".

Carmen rimase pochi mesi a Padova poiché il vicefederale di Treviso aveva preteso di farla rientrare immediatamente. Ritornata in condizioni pietose dopo avere ricevuto delle cure in modo tale da riprendersi fisicamente almeno in parte, è fatta uscire di prigione e sistemata come donna di servizio, sorvegliata a vista, in casa del capitano fascista Massimo Cappelin, accanito persecutore dei partigiani. L’unica eccezione al suo isolamento sono le rare visite di una sorella, la quale per poterla incontrare accetta di fare dei lavori di sartoria nella casa del capitano. Era stata presa la decisione di isolare Carmen dai compagni di prigionia e dall’ambiente esterno relegandola nella casa di Cappellin con una mansione umiliante, quella di sguattera di un fascista, per punire la sua fierezza e spingerla a cedere e denunciare i suoi compagni. Da quella situazione la giovane trae invece profitto osservando e memorizzando tutto quello che accadeva intorno a lei.

Verso la metà di Aprile quando tra i fascisti si era diffusa la certezza che la guerra era ormai perduta Carmen inizia a rappresentare una minaccia per quello che ha sentito in casa di Cappellin e qualcuno pensa di eliminarla. Le viene recapitato di nascosto un biglietto nel quale era scritto: "Scappa; sei nella lista nera delle persone sai troppe cose!".

E’ così che da quella casa il 19 aprile Carmen riesce a fuggire e a rifugiarsi presso alcuni amici a Santi Angeli del Montello. Si aggrega alla brigata garibaldina Wladimiro Paoli, la sera del 28 aprile festeggia la liberazione di Treviso.

Ai primi di giugno presso il distretto militare incontra Lince. Nel vedere il suo aguzzino gli si scaglia contro gridando: ""Guarda , delinquente, cosa hai fatto!" e scostandosi la camicetta mostra i solchi delle nerbate che le segnano il petto. Poi lo aggredisce furiosamente con una scarpa.

Finita la guerra si impegna attivamente come testimone nei processi contro i fascisti nei tribunali di Treviso e di Udine ai primi di giugno. Si occupa inoltre di politica entrando a far parte della Commissione femminile della Federazione Comunista di Treviso.

Ma la salute di Carmen Noris è compromessa dalle torture subite che le impediranno, peraltro, di avere figli. Per un breve periodo si reca a Varazze, in un sanatorio, e lì conosce il suo futuro marito Gino Fantin con il quale nel 1949 emigra in Argentina in cerca di lavoro. I due si sposeranno a Buenos Aires nel 1951.

Carmen negli anni si isola progressivamente da tutti. Separata, sola e senza figli, nel 1966, a quarantasette anni, muore in circostante drammatiche a causa di una fuga di gas.

Il ricordo di Carmen resta impigliato ai margini della Resistenza, in riconoscenza del suo apporto alla guerra di liberazione dai nazifascisti a alla creazione di una nuova identità nazionale le viene intitolata una via nel suo paese natale.

La vicenda di Carmen è stata il soggetto di due spettacoli teatrali: Carmen, un monologo in forma di istruttoria con Diana Hobel e Carmen. Storia di una partigiana messo in scena dalla compagnia veneziana Amaranteghe.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Noris Guizzo detta Carmen

Maistrello F., Carmen,  Una donna nella Resistenza, Istresco, Treviso 2006

Maistrello F., Nome di battaglia :”Carmen”, in Tempesta L. (a cura di), Storie di donne in guerra e nella Resistenza, Istresco, Treviso 2006

La foto è tratta da: Nino De Marchi (con un saggio di Livio Fantina),  Partigiani in montagna. Fotografie della Resistenza in Cansiglio e Alpago, autunno 1944 - primavera 1945, Istresco, 2007 (pag. 52).

Voce pubblicata nel: 2014

Ultimo aggiornamento: 2015