Giuditta Levato di Rosa Romania e Salvatore nacque il 18 agosto 1915 a Calabricata, un borgo sullo Jonio, all’epoca Comune di Albi, oggi Sellia Marina (CZ). Primogenita di sette figli, tre sorelle e quattro fratelli, dopo di lei Maria, Antonio, Paolo, Carmelo, Pasquale e Nicolina.

A 21 anni sposò Pietro Scumaci bracciante. Con lui avrà due figli, Salvatore e Carmelo.

Quando gli uomini furono richiamati al fronte per il secondo conflitto mondiale, Giuditta tornò in casa degli anziani genitori dove svolse il ruolo di capofamiglia: lavorò la terra per assicurare il cibo in tavola. Con i suoi sacrifici riuscì anche ad acquistare una casupola ad Albi.

La guerra terminò e Pietro fece ritorno a casa, ma non era più l’uomo sano e forte partito anni prima. Come lui tanti, ma molti non tornarono più.

La donna prese consapevolezza della miseria generale, soffrì la miseria e soffrì i soprusi che dilagavano sul catanzarese. Il cibo non bastava, non c’era la terra da lavorare per produrlo. Il malcontento creò solidarietà tra i braccianti che si iscrissero al PCI. Giuditta venne a conoscenza dei diritti sanciti dai Decreti di Fausto Gullo, cioè del ministro calabrese soprannominato “dei contadini” per l’instancabile difesa che al Governo dimostrò nei loro confronti. Forte dell’appoggio della Legge che concedeva le terre abbandonate ai contadini associati, la giovane s’iscrisse alla Cooperativa “Unione e Libertà” che avviò la richiesta del fondo detto “Letto del Biviere”. Nelle campagne di tutta la Calabria si diffuse la protesta contadina per la coltivazione delle terre incolte, i proprietari preferivano lasciarle abbandonate che darle ai braccianti. Numerosi i disordini.

Il 28 novembre del 1946, mentre era in corso la pratica per la concessione del terreno da tempo incolto, l’affittuario Pietro Mazza decise di lavorare proprio quella parte di podere situato nel Comune di Cropani.

Giuditta, incinta di sette mesi, persuasa della giusta causa, con un passaparola riunì circa cinquanta persone in gran parte donne e guidò una protesta affrontando a testa alta sia il proprietario, sceso nel fondo con il fucile carico, che il suo guardaspalle Vincenzo Napoli soprannominato “u Cicalisi”.

Si scatenò una lite, anche per la presenza dell’arma, fu sparato un colpo che ferì gravemente la donna al ventre; il guardaspalle rischiò il linciaggio e fu subito legato, la donna fu trasportata fino a casa sanguinante in attesa di un mezzo che le permettesse di raggiungere l’ospedale di Catanzaro.

Morirà qui due giorni dopo, il 1° dicembre 1946, come riportato nei documenti dell’Archivio Centrale di Stato di Roma.

Il monaco della cappella ospedaliera rifiutò di celebrare i funerali perché vide bandiere e garofani rossi sul feretro. Vincenzo Napoli fu assolto per insufficienza di prove. Giuditta Levato è la prima vittima calabrese del Dopoguerra, nella lotta contro il latifondo.

La giornalista, scrittrice e politica italiana Miriam Mafai ne fece il “santino” per conto del Partito Fronte Democratico Popolare, come riporta nell’autobiografia, “Una vita, quasi due”:

Giuditta Levato, già madre di due figli e incinta, viene uccisa dalla pallottola di un agrario, e diventa rapidamente il simbolo di queste battaglie. […] Fu Luigi Longo a volere che preparassimo questa sorta di immagine sacra, fui io a scriverla…

Poco tempo dopo la tragedia, il figlio di Giuditta Levato, Carmelo Scumaci, fu portato nel Villaggio “Sandro Cagnola”, alla Rasa di Varese, convitto che accolse orfani di vittime di stragi; sposerà Vera, la figlia di una vittima della strage di Portella della Ginestra, Margherita Clesceri.

Nel 2012 dopo una lunga ed attenta ricerca archivistica e raccolta di testimonianze è stato scritto il primo libro dedicato a questa donna, si tratta di una biografia romanzata con appendice/foto e intervista a Carmelo, presentata al Mibac, Collegio Romano “Sala Crociera” il 5 marzo 2014.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Giuditta Levato

Le notizie del testo sono frutto di testimonianze dirette soprattutto della sorella di Giuditta, Maria Levato, dei nipoti, del figlio Carmelo e della moglie, nonché dei documenti d’Archivio Centrale di Stato e della Fondazione Gramsci – Roma, Archivio Storico di Catanzaro Sez. Lamezia Terme.

“Giuditta Levato. La contadina di Calabricata” di Lina Furfaro, Falco Editore, CS 2012

Rigenerare la vita, coltivare la speranza - presentazione su Giuditta Levato di Lina Furfaro

Giuditta Levato, la contadina di Calabricata - Linafurfaro.it

Referenze iconografiche:

Prima immagine: Giuditta Levato. Fonte: Archivio-Biblioteca Fondazione Gramsci, Roma.

 

Voce pubblicata nel: 2022

Ultimo aggiornamento: 2023