Secondo Simone de Beauvoir, Christine Delphy è stata «la più entusiasmante» 1 tra le femministe francesi della seconda ondata. Per Sylvie Chaperon, storica del femminismo post-suffragista, l’incontro con i suoi scritti è stato «come una rivelazione»2. Lo stesso termine, «rivelazione», riaffiora nella testimonianza consegnata dalla sociologa inglese Stevi Jackson al numero speciale che Nouvelles Questions Féministes ha consacrato a Delphy in occasione del suo ottantesimo compleanno3.

Formulati da intellettuali diverse tra loro per generazione, nazionalità e appartenenza disciplinare, giudizi come questi convergono nel sottolineare l’audacia critica di cui Delphy ha dato prova infliggendo una vigorosa scossa alle “evidenze” che strutturano la nostra percezione del campo sociale. La sfida al modello androcentrico di oggettività scientifica, la riqualificazione del concetto di patriarcato, la ridefinizione dell’economico, la costruzione di una teoria delle classi di sesso, l’opposizione all’idea che la differenza sessuale possa essere il punto di partenza e di approdo del femminismo, l’analisi delle resistenze che ostacolano la conquista di una concezione denaturalizzata del genere e impediscono di intraprendere azioni politiche finalizzate allo smantellamento di questo meccanismo di classificazione gerarchica: alternando un rigore logico implacabile e un umorismo corrosivo, Delphy ha promosso una rivoluzione epistemologica che segna un punto di non ritorno per la teoria femminista e per la critica dell’economia politica.

Ma una simile audacia si acquisisce soltanto a patto di riconoscere i limiti della speculazione pura, a partire da un coinvolgimento politico cosciente: «una teoria può svilupparsi» secondo Delphy «solo se c’è una lotta, perché senza una lotta non è possibile sviluppare dei concetti»4.La lotta porta con sé la consapevolezza che ciò contro cui ci si rivolta non è naturale, inevitabile e necessario, ma storico, sociale e contingente: «a partire dal momento in cui esiste la rivolta, contemporaneamente e necessariamente esiste l’idea di un processo resistibile»5.

Per Delphy, il risveglio politico comincia intorno ai vent’anni. Fresca di laurea in sociologia, nel 1962 lascia Parigi per un soggiorno negli Stati Uniti: dopo due anni trascorsi tra le università di Chicago e Berkeley a divorare letteratura sociologica e a meditare un critica della psicoanalisi freudiana che resterà una costante del suo pensiero, nel 1964 si trasferisce a Washington, dove inizia a lavorare per la National Urban League, una delle più antiche organizzazioni statunitensi per i diritti civili.

È questo primo engagement a persuaderla dell’esistenza di un’analogia fra oppressione razzista e oppressione patriarcale, soprattutto per quanto riguarda la costruzione di una “differenza” naturale imputata dai dominanti ai gruppi dominati per legittimarne la subordinazione sociale. Il passo successivo le viene suggerito da un’esperienza di molestie sessuali subite da un superiore all’interno della National Urban League: la necessità, per le donne, di organizzarsi in maniera autonoma e lottare in prima persona contro la propria oppressione.

Nel 1965, al momento del rientro a Parigi, il proposito di svolgere attività di ricerca su quella che all’epoca veniva ancora definita “questione femminile” trova un ostacolo nel suo direttore di studi, Pierre Bourdieu (futuro autore de Il dominio maschile) che trova l’argomento privo di reale consistenza scientifica. Costretta a ripiegare sulla sociologia rurale, Delphy avvia un’indagine sulla trasmissione del patrimonio che, di lì a poco, le fornirà una chiave decisiva per formulare la sua teoria del modo di produzione domestico, inteso come base economica del sistema patriarcale, analiticamente distinto dal modo di produzione capitalistico e pienamente integrato nella formazione sociale contemporanea.

Nel frattempo, il maggio 1968 la vede partecipare all’occupazione della sede del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica. In questa occasione incontra Jacqueline Feldman-Hogasen, fondatrice insieme ad Anne Zelensky di FMA (Féminin, Masculin, Avenir), un gruppo misto nato nel 1967. Delphy entra a far parte del gruppo, che a partire dal 1969 muta la propria denominazione in Féminisme, Marxisme, Action e diventa non misto.

Dall’incontro tra FMA e il gruppo di femministe riunito intorno a Monique Wittig nasce il nucleo che il 26 agosto 1970 prende parte alla manifestazione considerata l’atto di nascita del Mouvement de Libération des Femmes (MLF). Il resto del decennio vedrà Delphy partecipare a tutte le iniziative più importanti del movimento, dalla campagna per la depenalizzazione dell’aborto alle giornate di denuncia dei crimini contro le donne, dalla costituzione del gruppo lesbico delle Gouines rouges alla campagna contro la violenza sessuale.

Sempre nel 1970 viene pubblicato sulla rivista Partisans l’articolo Il nemico principale, in cui la giovane sociologa avanza per la prima volta l’esigenza di un’analisi materialista dell’oppressione delle donne e presenta la sua teoria del modo di produzione domestico. Caratteristico della tendenza féministe révolutionnaire del MLF, l’uso eretico delle categorie marxiane e la loro estensione a una forma di sfruttamento non mediata dal rapporto salariale è il contributo più originale offerto da Delphy a un dibattito che, in quegli anni, attraversa tutti i paesi investiti dalla rinascita del movimento femminista.

A partire dal 1977, con la fondazione della rivista Questions Féministes, il femminismo materialista si dota di un organo di stampa che aspira a mettere fine alla divisione del lavoro tra “teoriche” e “militanti” agendo come un organizzatore collettivo, punto di riferimento nazionale e internazionale per l’ala del movimento che non si riconosce nel pensiero della differenza sessuale, né nelle correnti di femminismo marxista che imputano unicamente al capitale l’oppressione delle donne. Alla rivista, formalmente diretta da Simone de Beauvoir, partecipano, oltre a Delphy, Nicole-Claude Mathieu, Colette Capitan Peter, Colette Guillaumin, Monique Wittig, Emmanuelle de Lesseps e Monique Plaza.

Lo scioglimento del collettivo redazionale della rivista, nel 1980, non segna la fine dell’impegno di Delphy. Il lancio, nel 1981, di Nouvelles Questions Féministes risponde alla volontà di approfondire il programma delineato negli anni Settanta e di continuare la battaglia in un clima politico segnato da una destrificazione generalizzata dello spettro politico. L’idea che l’analisi dei meccanismi sociali che presiedono all’oppressione delle donne possa servire anche ad altri gruppi dominati trova un riscontro, all’indomani degli attentati dell’11 settembre, nelle numerose iniziative militanti e intellettuali intraprese da Delphy contro la «guerra infinita» e contro l’ondata islamofoba che invade la Francia.

Il filo conduttore resta sempre la battaglia contro il differenzialismo e il naturalismo, le stampelle ideologiche indispensabili a qualsiasi pensiero conservatore — inclusi quelli che non osano pronunciare il proprio nome.

Note


1 Cfr. il risvolto di copertina di Christine Delphy, Close to Home. A Materialist Analysis of Women’s Oppression, trad. ing. di Diana Leonard, University of Massachusetts Press, Amherst 1984.
2 Sylvie Chaperon, «Autour du livre de Christine Delphy L’ennemi principal», Travail, genre et sociétés 4, 2, 2000, p. 164.
3 Stevi Jackson, «Entrelacement de vie et d’idées: une retrospective personelle de mes rencontres avec Christine Delphy et son œuvre», Nouvelles Questions Féministes, 41, 2, 2022, p. 28.
4 Christine Delphy, Ilana Eloit, Clare Hemmings, Sylvie Tissot, «Feminism in transnational times, a conversation with Christine Delphy», Feminist Review, 117, 1, 2017, p. 151.
5 Christine Delphy, Per un femminismo materialista (1975), in Ead. Il nemico principale 1. Economia politica del patriarcato, trad. it. di D. Ardilli, VandA, Milano 2002, pp. 302-303.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Christine Delphy

FONTI, RISORSE BIBLIOGRAFICHE, SITI SU CHRISTINE DELPHY

Questions féministes, “Variazioni su dei temi comuni” (1977), trad. it. di Leonardo De Flaviis e Arianna Friso, Balthazar, 2, 2021.

Christine Delphy, Il nemico principale 1. Economia politica del patriarcato (1998), trad. it. di Deborah Ardilli, VandA, Milano 2022.

Christine Delphy, L’ennemi principal 2. Penser le genre, Syllepse, Paris 2001 (di prossima trduzione per VandA, Milano).

Christine Delphy, Per una teoria generale dello sfruttamento. Forme contemporanee di estorsione del lavoro (2015), trad. it. di Deborah Ardilli, ombre corte, Verona 2020.

Christine Delphy, Classificare, dominare. Chi sono gli “altri”? (2008), trad. it. di Deborah Ardilli, VandA, Milano 2023.

SITI:
https://christinedelphy.wordpress.com

canale Youtube con molti contirbuti e interviste
https://www.youtube.com/playlist?list=PLZG-oabhRPSz_2ujUu4JkrC0Uj1AkPWQU



Deborah Ardilli

DEBORAH ARDILLI (Modena, 1979) ha conseguito un dottorato di ricerca in filosofia politica presso l'Università di Trieste nel 2008. Attualmente è traduttrice e ricercatrice indipendente. Le sue ricerche si sono concentrate sulla trasmissione della storia militante e intellettuale del femminismo post-suffragista. Sua è la cura di Manifesti femministi. Il femminismo radicale attraverso i suoi scritti programmatici (1964-1977) (VandA, 2018). Con Marcella Farioli ha svolto una ricerca sul movimento per il salario al lavoro domestico a Modena, i cui risultati sono confluiti in «Critica dell’emancipazionismo e crisi del modello emiliano: Lotta Femminista a Modena», incluso nel volume collettivo Modena e la stagione dei movimenti: politica, lotta e militanza negli anni Settanta (Editrice socialmente, 2018). Per VandA, ha tradotto in italiano Valerie Solanas e Andrea Dworkin (con Stefania Arcara), Gloria Steinem, Monique Wittig e Christine Delphy. Con Stefania Arcara ha fondato, nel 2018, il blog femminista materialista Manastabal, principalmente dedicato alla traduzione di testi poco conosciuti in Italia.

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Voce pubblicata nel: 2024

Ultimo aggiornamento: 2024