Feigla Vera Luftig, ebrea, infermiera, modella, combattente per la libertà, antifascista esule dalla Spagna durante la dittatura di Francisco Franco, agente dei servizi segreti, donna dai mille volti e dalla vita breve e avventurosa. Nasce in Polonia, per la precisione a Chrzanów, nel 1909, da famiglia ebraica giunta ad Anversa nel dicembre del 1927 in fuga dalla crisi economica e dai numerosi pogrom che si erano diffusi dopo la prima guerra mondiale. Feigla è la figlia più giovane di una famiglia numerosa: ha quattro sorelle maggiori e due fratelli.
Ad Anversa si nutre di cultura cosmopolita e, insieme alle sorelle, si unisce all'associazione ebraica di ispirazione marxista Kultur Farein. In quel periodo, le ragazze si allontanano dall’ebraismo e Vera, il cui nome originale è Feigla, proprio in quel periodo cambia il suo nome.

Nel 1934 sposa il leader sindacale Emiel Akkerman. Nel 1936, allo scoppio della Guerra civile spagnola, che anticipa metodi e devastazioni che saranno proprie della Prima Guerra Mondiale, suo marito si unisce alle Brigate Internazionali. Di lì a poco morirà in combattimento alla Casa de Campo (Madrid). Anche suo fratello, Piet Akkermann, morirà nella lotta antifascista, combattendo sul fronte di Arganda. Questi dolorosi avvenimenti spingono le sorelle Luftig a unirsi alla lotta antifascista. Inoltre, nel 1937 si uniscono ad un eroico gruppo di infermiere ebree belghe e olandesi in servizio all’ospedale Ontinyent, in Valencia, per curare i soldati repubblicani feriti combattendo il fascismo durante la guerra civile spagnola.

L’ospedale era gestito dall'Internazionale operaia e socialista e dalla Federazione sindacale internazionale ed era tra i meglio attrezzati in Spagna. Era dotato di riscaldamento, celle frigorifere, laboratori, sale operatorie, radiologia e moderne attrezzature per anestesia, reparti ortopedici e un crematorio dove venivano inceneriti gli arti amputati e i rifiuti ospedalieri. Poteva contare su un'innovativa équipe di chirurgia plastica. Furono circa settemila i feriti curati dall’ospedale Ontinyent (chiamato The Belgian) durante la guerra civile spagnola.

La storia di queste infermiere è stata scoperta e resa nota solo nel 2016 attraverso un documentario di 26 minuti, realizzato dal regista e documentarista belga Sven Tuytens, che è risalito a questa storia grazie ad una fotografia ricevuta dallo storico Rudi Van Doorslaer. In questa fotografia si vedono undici ragazze davanti all'Hotel Colón di Barcellona con un grande striscione del PSUC (Partito Socialista Unificato di Catalogna). Tuytens si è recato in quei luoghi ed ha rintracciato una testimone dell’epoca, Maria Rosario Llin Belda, che nel 1937 aveva solo quindici anni, lavorava in quell’ospedale e ricordava perfettamente nomi, fatti e circostanze.
Grazie a questa fondamentale testimonianza è nato un libro, “Las mamàs belgas” ed il documentario omonimo. “Le madri belghe” era il nome che i feriti e la popolazione avevano attribuito a questo gruppo di infermiere, molto stimate e benvolute. Esse, oltre a curare le ferite, davano un grande supporto psicologico a feriti e ammalati ed erano oltremodo attive sul fronte dell’animazione culturale. Avevano, infatti, fondato un giornale (“La voz del herido”), tenevano corsi di alfabetizzazione, organizzavano un coro e delle serate teatrali. Avevano, insomma, reso l’ospedale un centro di carattere socio-culturale.

Vera Luftig, insieme alle sorelle Golda e Rachele, era una di loro. Ecco i nomi delle altre: Lya Berger, Henia Hass, Rachel Wacsman, Hilda Wajnsztejn, Rajza Gold-finger, Genia Gross, Lucy Blitzer, Frieda Buchhalter, Lily Friedman, Olga Harmat, Gutka Kinzclewska, Anna y Adela Korn, Rosa Leibovic, Marie Mehrel, Stunea Osnos, Rachel Oulianetsky e Cyla Vospe.

La successiva vittoria di Franco segna per Vera, le sue sorelle e circa mezzo milione di persone, l’esilio dalla Spagna. Un fenomeno di proporzioni gigantesche, passato alla storia come “la retirada”. I dissidenti non hanno molte alternative: restare comporta la fucilazione o la prigione.
Vera, Golda e Rachele riescono a raggiungere l’aeroporto di Valencia e da lì vengono evacuate in Algeria, nella città di Orano. Tornano in Belgio, stabilendosi a Bruxelles. Golda Luftig, insieme a sua figlia, torna con i suoi genitori ad Anversa.

Vera trova lavoro come modella per dei pittori e nell’ambiente artistico, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, conosce Leopold Trepper, direttore dei servizi segreti sovietici, per il cui tramite e si unisce alla resistenza antinazista. Trepper è membro attivo della Die Rote Kapelle (L'orchestra rossa), un gruppo di spionaggio e sabotaggio. Il suo nome in codice è La Negra. Il suo compito quello di digitare messaggi in codice. Invece Vera è “la pianista”, colei che aziona i tasti dell'apparecchiatura di trasmissione (il carillon). Il gruppo riesce ad individuare gli obiettivi della Wehrmacht (le forze armate tedesche), spianando la strada alla vittoria sovietica nella battaglia di Stalingrado.
La sorella Rachele, affiliata alla rete partigiana ebraica del Mobiel Corps, viene arrestata dalla Gestapo e internata a Ravensbrück, campo di concentramento al quale sopravvive. Golda, l’altra sorella, invece morirà ad Auschwitz-Birkenau nel 1942.

Vera riesce a fuggire in Francia e agisce da collegamento tra due agenti sovietici. La rete viene, però scoperta, e la donna costretta a vivere di nascosto tra due piccoli villaggi francesi nella regione del Rodano. La sua famiglia, padre, madre, la sorella Golda, con il marito e la figlia Madrid, e la sorella Miriam con suo marito Nathan Nussan Namenwirth, vengono arrestati. Li attende lo sterminio nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau, dal quale si salva solo il marito di Golda.

Vera sfugge molte volte alla cattura e alla fine della guerra si stabilisce prima ad Anversa e poi a Bruxelles. In questa città, nel 1951, ottiene un lavoro presso l'ospedale Sint-Pieters. In questa città si spegne a soli cinquant’anni, di cancro, nel 1959.


Voce pubblicata nel: 2025