«Ho tratto questo lungo racconto storico dalla mia tesi di laurea presentata all'Università degli Studi di Genova, il 13 ottobre 1999. Avevo all'epoca già 67 anni. La mia tesi, con l'ampia narrazione che ne è derivata, è stata concepita come un atto d'omaggio, ma anche d'ammenda, nei confronti dei miei antenati russi; antenati ai quali, fino ad un'età molto matura, non mi ero mai particolarmente interessata».
Sono queste le prime righe di un libro, singolare quanto appassionante, scritto da Ludmila Cecchini Corradi e pubblicato a Firenze (Maremmi editore) nel 2008: I Sen’kòv. Una storia di famiglia. Sottotitolo: Dalla servitù della gleba al capitalismo, dal capitalismo alla rivoluzione. Le vicende di una grande famiglia russa attraverso cinque secoli di storia.
Ludmila Cecchini, Mila per gli amici, nasce da madre russa (Lidija Sergéevna Sen'kòva) e padre italiano e trascorre la prima parte della sua vita a Rapallo con i genitori e il fratello maggiore Roberto. Dopo il matrimonio con Livio Corradi, un medico marchigiano, si trasferisce ad Ancona, dove nascono le sue due figlie. Oggi, rimasta vedova da diversi anni, vive a Senigallia da sola, ma circondata dall’affetto di figlie e nipoti. È una donna solare, estroversa, spiritosa e cordiale, e ancora oggi – nonostante i decenni trascorsi nelle Marche – parla con un leggero accento ligure, che si fa più marcato nei momenti di particolare allegria.
Quando la intervisto, Ludmila si schermisce dicendo di non essere affatto una donna interessante, se non «come prototipo di casalinga della media borghesia». Poi, però, finisce inevitabilmente col soffermarsi sui temi di quella sua stupefacente tesi di laurea, e la maschera da casalinga della media borghesia cade lasciando trasparire un talento da ricercatrice storica di tutto rispetto. Un talento reso più incisivo, inoltre, dalla sua favorevole e peculiare posizione familiare (discendente – appunto – di una grande famiglia russa) e dalla conseguente possibilità di avere un accesso privilegiato a testimonianze e documenti di interesse eccezionale: tra questi ultimi, un prezioso diario tenuto da suo nonno materno tra il 1925 e il 1933, che è una descrizione personale diretta degli eventi russi del 1917-18 e degli anni immediatamente successivi.
«Il fatto più strano della mia peraltro comunissima vita – esordisce Ludmila – è legato proprio alle vicende storiche della patria di mia madre, la Russia». La sua famiglia materna era un’antica famiglia di manifatturieri del lino, provenienti dalla servitù della gleba, da cui si erano emancipati nel 1828.
Sua mamma, Lidija Sergéevna, era emigrata in Italia nel 1925, all’età di 23 anni, seguendo il padre Sergéj Ivànovič Sen’kòv che, dopo essere stato espropriato, settantenne, di ogni suo avere, comprese le fabbriche nazionalizzate, scelse di venire in Italia: conosceva e amava questo paese che aveva potuto conoscere durante alcuni soggiorni, in occasione di fiere e mostre internazionali alle quali aveva preso parte con le sue produzioni.
Ancora oggi Ludmila si rammarica di non aver mai studiato – fino all’inizio degli anni Novanta – la lingua di sua madre. Senonché la grande svolta storica della caduta del Muro di Berlino ha improvvisamente consentito, a sua madre e a lei, di ritrovare quei parenti russi dati da tempo come persi per sempre. Ed è stato finalmente allora che, per poter comunicare meglio con quei parenti della sua generazione, l’ormai matura Ludmila Cecchini Corradi si è risolta a studiare seriamente il russo, ad approfondire la conoscenza della Russia e ad esplorare le storie personali e il percorso della famiglia materna, di cui aveva solo notizie imprecise e lacunose.
Nasceva così la decisione di tornare all’Università di Genova, dove in gioventù, prima di sposarsi, aveva frequentato per un paio d’anni la facoltà di medicina: ormai vedova, con le figlie sposate, faceva quindi ritorno a Rapallo, per occuparsi della mamma, anziana ma ancora in buone condizioni di salute, e si iscriveva alla facoltà di lingue e letterature straniere moderne, con specializzazione in russo, presso la sua vecchia università.
«Quella degli studi universitari a sessant’ anni – ricorda Ludmila – è stata un’esperienza bellissima e gratificante, con compagni e compagne che mi hanno sempre trattata con molto affetto e simpatia e docenti davvero molto preparati, da cui ho potuto apprendere tanto e che, proprio per la maturità della mia età, ho potuto apprezzare e valutare in tutto il loro valore».
Alla sua laurea, discussa nel 1999, quando ormai era già nonna da un po’, era presente tutta la sua famiglia (ma non sua madre, defunta due anni prima), oltre ai cugini russi oggi residenti a Minsk. C’era anche il sindaco della città di origine di sua madre, Vjàzniki (regione di Vladìmir), dove ancora vi sono gli stabilimenti tessili fondati dalla famiglia. Proprio come omaggio a Ludmila Cecchini Corradi e alle sue ricerche storiche (condotte anche scavando pazientemente negli archivi di Vjàzniki e di Vladìmir), il municipio di Vjàzniki ha deliberato che gli stabilimenti tessili riprendessero il nome dei Sen’kòv e che la strada dove essi sono ubicati si chiamasse Via Sen’kòva. Ludmila ha ricambiato donando al Museo statale di quella città il prezioso diario di suo nonno.
La tesi, redatta dopo un lavoro di ricerca di molti anni, poi perfezionata e pubblicata in volume nel 2008, ha riguardato proprio la storia della famiglia, a partire dal secolo XVII: la servitù della gleba, da cui l’antenato Ósip Michàjlovič Sen’kòv, nel 1828, riscattò la famiglia acquistando la libertà a sue spese, l’industrializzazione russa prerivoluzionaria, la rivoluzione, gli arresti, le emigrazioni, gli anni della guerra, il cugino russo partigiano in Italia, le lettere strazianti dello zio Maksimìlijan Sergéevič, padre del cugino di Minsk, dal gulag siberiano nel quale morì. Sino ai giorni nostri e al disastro di Cernobyl, in cui fu coinvolto il giovane figlio di quel cugino.
Il libro ha avuto recensioni lusinghiere sia in Italia che in Russia, dove qualche capitolo è stato tradotto e pubblicato su alcuni organi di stampa. Una traduzione completa – alla quale sta collaborando la stessa autrice – sarà pubblicata prossimamente.
Prima ancora di iniziarne la lettura, il volume colpisce al solo sfogliarlo, per le numerose, stupende fotografie d’epoca che esso contiene. «Fin da bambina – spiega l’autrice – avevo avuto modo di vedere delle belle fotogra­fie dell'infanzia e giovinezza di mia madre. Mantenutesi molto bene, alcune con stupende inquadrature, sono dei documenti di straordi­nario valore, lontani nel tempo e nello spazio. Mia madre dava grande importanza a quel tipo di testimonianze, affermando che qualsiasi bene economico può essere ricostruito dalla buona volontà e dal lavoro, ma i ricordi fotografici sono insostituibili. E infatti, partendo dalla Russia, non aveva portato via con sé null'altro se non – gelosamente custodite – le foto di famiglia, considerate come sa­cre».
Concludo la mia intevista chiedendo a Ludmila Cecchini Corradi se conservi qualche ricordo particolarmente significativo dei viaggi fatti da lei in Russia negli anni Novanta insieme con sua mamma. «Ce ne sarebbero molti – mi risponde – ma mi limito a un episodio che mi ha profondamente commossa: nel novembre del 1992 il direttore del Museo storico di Vjàzniki ci ha accompagnato a visitare la casa che era stata dei nostri antenati e che, attualmente, è adibita a circolo per i lavoratori della fabbrica ed è utilizzata anche per esigenze di rappresentanza. Qui gli operai ci hanno accolto con grande cordialità e si sono esibiti per noi in alcune antiche danze popolari nel salone dei ricevimenti, dove i nostri antenati organizzavano incontri d'affari e dove avevano persino ricevuto uno zar».

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2019