“Care persone”, vi voglio raccontare chi era Clelia Marchi, come è stata la sua vita, cosa ci ha lasciato come memoria di sé e del mondo in cui ha vissuto.

“Care persone” è l’incipit del racconto autobiografico che ha scritto su un lenzuolo, il più bello, del suo corredo di nozze, ormai inutile dopo la morte dell’amatissimo marito Anteo:

[1] Care persone fatene tesoro di questo lenzuolo che c’è un pò della vita mia; è mio marito; Clelia Marchi (72) anni hà scritto la storia della gente della sua terra, riempendo un lenzuolo di scritte, dai lavori agricoli, agli affetti, dai filos, [2] alla cucina, agli affetti, e alle feste popolari: À scritto tutta una storia: una avventura, nei sacrifici, nelle sofferenze di ogni giorno; ogni riga si svolge sul filo della sincerità: come pure il titolo del mio lenzuolo libro: (Gnanca na busìa) non o raccontato: gnanca na busìa né par mi; né ai lettori!!!

Queste sono le prime righe scritte sul lenzuolo da cui emerge un progetto chiaro: l’idea di lasciare memoria di sé agli altri, ai lettori esplicitamente considerati. Clelia inizia a scrivere nelle notti insonni, prima di tutto per sé. Ma ripensare e ricostruire tutta la sua vita la porta alla consapevolezza di avere vissuto un’epoca di cambiamenti e trasformazioni della società italiana che non riguardano solo lei: sa che ha una storia importante da testimoniare.

Perciò non scrive solo per se stessa, ma per le “care persone” che sapranno comprendere tutto il sentimento e la sofferenza contenute nelle sue parole, vergate nella notte, con pazienza sull’intero lenzuolo, una riga dopo l’altra, numerate per facilitare la lettura e non perdere il filo. Si rivolge a coloro che saranno capaci di capire e entrare in sintonia col suo racconto, conscia dei limiti degli strumenti linguistici a sua disposizione, avendo frequentato solo i primi due anni di scuola, perché poi aveva dovuto occuparsi dei fratellini, mentre la mamma lavorava e il padre contabile era richiamato in guerra.
Nelle sue memorie non ci sono riferimenti espliciti a fatti storici, se non la guerra che porta via gli uomini dal lavoro e fa ricadere sulle donne tutto il peso delle necessità della famiglia. C’è il succedersi dei giorni nella quotidianità, nel lavoro, nei dissidi familiari, nelle preoccupazioni per i figli che nascono e muoiono precocemente, che si ammalano, che vanno cresciuti. Ci sono gli incontri, gli amori, i matrimoni, le invidie e le gerarchie tra le donne nelle famiglie contadine allargate.

Clelia si innamora molto giovane e se ne va con Anteo dopo un anno ma senza sposarsi: ”io avevo .16. anni e lui .25.” C’è l’amore ma il matrimonio verrà solo dopo tre anni, per non pagare la tassa sul celibato imposta dal regime fascista. Nella casa “foresta” lei è l’ultima arrivata e presto aspetta un bambino: “che pure ero una bambina anch’io”. Una bambina che lavora duramente: “tutte le mattine destate andavo à prendere l’erba: alle .4. per le mucche [52] con .5. uomini io rastellare e l’oro caricare: sempre con il padrone a bada: che avevo tanto da rastrellare che non ti potevi neanche il naso soffiare: <Questo è il vero albero degli zoccoli vero sincero>.

Sull’autenticità del suo racconto Clelia insiste, fin dal titolo. La sua storia è anche quella di molti altri che come lei hanno subito lo sfruttamento nelle campagne e hanno vissuto i cambiamenti della società italiana dalla miseria al boom. Per lei la prospettiva di riposare e godersi gli anni insieme al suo Anteo è stata bruscamente cancellata da un’automobile che ha investito e ucciso il marito: “[105] strana vita, cosa puoi aspettarti se non la morte??

Quando sembra che tutto sia finito, viene il tempo del ricordo. Nell’ultima parte del suo “libro-lenzuolo” (come lo chiama lei stessa) riflette su ciò che ha narrato e osserva come

un tempo era il marito comandava lui, era il capo famiglia: e quello che diceva il marito era valido per tutti: le donne doveva curare i bambini e basta: era per quello che le donne non anno mai fatto un passo avanti: era cos’ì per tutte le donne: lavorare, mangiare e à letto: così non anno mai potuto esprimere le sue idee… si accontentavano di ben poco…

La ricchezza della vita interiore di Clelia, rimasta nel tempo inespressa, si riversa nel suo lenzuolo. Qui dichiara i valori in cui crede: “se c’è persone che possono aiutare ai malati, è la più bella cosa che uno può fare nella vita”; esprime l’amore e il dolore: “la mia vita è stata tanto faticosa, e dura; con mio marito ci siamo tanto amati, sono rimasta vedova quasi all’improvviso, mi sento vuota, finita, inutile: passo le mie giornate a piangere…la notte è l’ora della solitudine, il momento della verità, e il momento, ò l’ora dei ricordi chi non à dolori non possono comprendere certe cose…Qui c e ne da dire di cose che c’è sempre da ritornare un passo indietro; [140] la miseria di una volta. Quanta miseria che c’era un tempo, poco di tutto, poco pane”.

Clelia aveva lavorato nei campi per tutta la sua vita, partorito otto figli, di cui la metà morti da piccoli. Il suo rapporto con Anteo era iniziato che era ancora giovanissima e il marito era stato sempre una certezza nel suo mondo, fino alla morte nel 1972, il 12 marzo in un incidente stradale. Allora Clelia riempie le notti solitarie e insonni scrivendo le sue memorie, utilizzando tutta la carta che trova in casa. Ma quando la carta finisce scatta l’idea di utilizzare le lenzuola d’un corredo conservato a lungo e ormai privo di senso per lei. Sul lenzuolo più bello, decorato con un sinuoso nastro rosa, scrive tutta la sua storia e la intitola “Gnanca na busìa”, nel suo dialetto che affiora spesso nell’italiano pieno di errori ma così efficace nel raccontare una vita di lavoro e di stenti.

Le lenzuola non le posso più consumare col marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere.” È una delle sue risposte, asciutte ma dense di significato, date a chi le chiedeva come e perché si fosse messa a scrivere, pratica che non le era certo familiare né facile.
In fondo al lenzuolo Clelia ascrive alcune poesie dove esprime il suo sentimento e cosi conclude la sua opera.

Il suo lenzuolo è diventato il simbolo del Piccolo Museo del Diario di Pieve Santo Stefano, che lo espone in una stanza della sua sede nel Palazzo Pretorio del comune dell’Aretino, dove Saverio Tutino nel 1984 ha fondato l’Archivio diaristico nazionale: qui, nel paese completamente distrutto dai nazisti durante la ritirata sulla linea gotica nel 1944, sono depositate oltre10.000 memorie, archiviate anche digitalmente e ogni anno si tiene a fine settembre il Premio Pieve Saverio Tutino che seleziona le opere più interessanti consegnate durante l’anno, in cui si racconta la vita delle persone comuni, quelle che fanno la storia in silenzio.

Qui arriva nel 1985 Clelia Marchi con il suo lenzuolo chiuso in un pacchetto, accompagnata dal sindaco del suo paese Poggio Rusco, che aveva compreso che questo era il posto giusto per valorizzare l’insolita autobiografia. Nel novembre 1989 le memorie di Clelia giungono a conoscenza di Luca Formenton, in vista a Poggio Rusco, paese del nonno Arnoldo Mondarori, fondatore della casa editrice nel 1912. Conosciuta l’autrice del testo, nel 1992 lo publica con il titolo “Gnanca na busìa” e la prefazione di Saverio Tutino: sarà la prima edizione d’un gran numero di ristampe.

Gnanca na busìa” è uno dei testi emblematici e più famosi tra quelli conservati nell’Archivio.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Clelia Marchi


Gnanca na busìa, (prefazione di Saverio Tutino), Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1992

Il tuo nome sulla neve - Gnanca na busìa, (prefazione di Carmen Covito e prefazione alla prima edizione di Saverio Tutino), Milano, Il Saggiatore

Gnanca na busia. Il romanzo di una vita scritta su un lenzuolo, (Postfazione di Vinicio Capossela), Il Saggiatore 2024

Piccolo museo del diario

Il lenzuolo di Clelia Marchi, su Archivio Diaristico Nazionale.

Paola D'Agostino, Scrivere come un ricamo. Il lenzuolo-diario di Clelia Marchi, su leparoleelecose.it, 16 ottobre 2014

Paolo Di Stefano, Ricordi scritti sopra un lenzuolo, in Corriere della Sera, 12 dicembre 2014

Il lenzuolo di Clelia Marchi, su Libri de-scritti, 4 febbraio 2016


Voce pubblicata nel: 2025